Cultura

Chaim Potok l’ebreo senza steccati

Era rabbino a New York, ha scritto due capolavori della narrativa del 900. Un grande amico italiano ricorda il romanziere morto un mese fa.

di Luca Doninelli

E’ difficile al mondo incontrare due veri amici. Anche nelle condizioni che potrebbero sembrare le più favorevoli, l?ombra del tradimento, del ricatto morale, dell?interesse individuale minacciano un sentimento paragonabile per purezza solo a quello della madre nei confronti del suo bambino. Non a caso la maternità di Maria e l?amicizia di Gesù verso i suoi (Giuda compreso) sono i due pilastri su cui poggia quello straordinario miracolo dell?umano che è il cristianesimo. L?amicizia vera non è di questo mondo. Così umana che l?uomo non lo sa. Non parlo di quella idealizzata dagli antichi (Achille e Patroclo, Eurialo e Niso, Romeo e Mercuzio), ma di quella concreta e quotidiana, robusta e semplice, destinata così a crescere anche sotto le intemperie, fatta per crescere, eppure così spesso umiliata, da farci pensare che l?umiliazione sia la sua condizione normale. Così che quando uno scrittore moderno, immerso come tutti noi nei problemi moderni, nell?egoismo moderno, nel cosmo moderno, riesce a offrirci nelle sue opere un autentico segno di amicizia fino a trasformare tutta la sua opera in opera di amicizia, non è inesatto parlare di miracolo. L?amicizia è l?altro nome della letteratura. Cosa è la letteratura? Amicizia. Desiderata, rimpianta, perduta, ma anche gustata, amata, incoronata dal vortice delle parole e forse nessuno scrittore ha scritto le proprie parole intorno a questa identità come Chaim Potok. Ci sono tanti modi di morire. Anche per uno scrittore. La morte di Potok, avvenuta un mese fa dopo una sofferenza lunga due anni, non ci comunica gli stessi sentimenti della recentissima morte di Franco Lucentini, che alla malattia ha preferito la solitudine estrema del suicido. La grande amicizia di Lucentini con Carlo Fruttero non è presente nella sua morte. Lucentini è morto senza Fruttero, ha voluto, forse, imitare Primo Levi, gettandosi nella tromba delle scale. Schiantato da un peso mortale, ucciso dal peso che lo opprimeva. Prima del dramma – la caduta condominiale -, la caduta civile, triste perché civile e non perché caduta, perché la morte porta dentro una firma e nel caso di Lucentini la firma sta nella tromba delle scale. La morte di Potok è viceversa una morte ampia: non meno dolorosa, ma più ricca di destino. Nella sua morte ci sono anch?io, che non sono stato suo amico, ma l?ho conosciuto e frequentato. La sua letteratura è stata un abbraccio e l?abbraccio resta. Leggete Danny l?eletto, il suo romanzo più travolgente, l?amicizia tra Danny e Reuven non è qualcosa che si incontra tutti i giorni. Nell?opera di Singer, considerato il precursore di Potok, non troviamo nulla di simile. Per parlare dell?amicizia a quel modo è necessario averla conosciuta, averne gustato il sapore, averne seguito la strada per lo meno fin dopo l?ultima curva, quando comincia il rettilineo finale, lunghissimo, impossibile da reggersi, ma lungo il quale ogni equivoco è impossibile. Giuda sa cosa è l?amicizia più di molti fra noi: lui infatti fece quella curva ed è forse per questo che il dolore di Dio per lui è stato il dolore più grande. Un anno fa, quando la malattia si era ormai fatta crudele, durante il nostro ultimo incontro a Torino, Potok mi raccontò un episodio illuminante. Si parlava della sua anomala simpatia per il cattolicesimo, che gli aveva ispirato il suo romanzo ?maledetto?, Il mio nome è Asher Lev. Com?era possibile che un ebreo amasse i cattolici? Potok mi raccontò che da bambino, quando andava nella bottega orafa del padre, si soffermava sempre a lungo davanti alla bottega contigua, quella di un ciabattino italiano povero, ma sempre allegro, che cantava tutto il giorno romanze d?opera. Il piccolo Chaim stava lì, incantato ad ascoltare quel povero cattolico, e fece il tifo per lui. E continuò a farlo anche dopo che ebbe conosciuto tutto il male di cui la morte di Gesù e il cristianesimo in generale erano accusati presso il suo popolo. Il destino è qualcosa che accade. Non è un marchio impresso su di noi prima degli eventi: è un evento. Per lui fu quel ciabattino italiano, per me fu un amico che mi invitò in un posto dove non volevo andare. Questo episodio ne illumina altri, legati alla mia conoscenza con Potok. Il nostro primo incontro, pubblico, ad esempio: quando a un professore di ebraismo che l?aveva accusato di parlare «molto della legge e poco di Dio», rispose che «l?uomo di fede non parla di Dio, parla con Dio, cerca di fare la volontà di Dio, ma non sta lì a parlare di lui». Dio è dentro il tessuto della realtà più concreto della terra su cui camminiamo. «Dio sta a noi ebrei come Garibaldi a voi italiani», mi disse per sottolineare, seppur paradossalmente, tutta lo spessore storico del rapporto con il Creatore. Rabbino, cappellano militare in Corea, Potok conobbe la guerra e sapeva cosa significa per un ebreo prendere le armi e combattere. Nel suo romanzo In principio, edito da Garzanti come tutte le altre sue opere, lo scrittore racconta di un bambino ebreo, nella New York anni 50, che scopre una foto raffigurante il padre con altri amici armati, in un bosco. Imparerà in seguito che quell?immagine, scattata in Polonia durante la seconda Guerra mondiale rappresenta il primo nucleo di quegli ebrei che, stanchi di subire la Storia (da Tito a Hitler), decisero di usare gli stessi metodi della Storia rifiutando il ruolo che Javhé aveva assegnato al loro popolo. è uno dei rami sorgentiferi del sionismo. La Storia presente ci è testimone delle drammatiche conseguenze di quella scelta. La capacità amichevole di affermare il positivo ha reso capace Potok anche di individuare meglio di altri i movimenti, anche tragici, della Storia statu nascenti. Leggete In principio, romanzo straordinariamente incompreso: è una chiave per comprendere le vicende centrali dei nostri giorni.


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