Economia

Cgm, il consorzio diventa gruppo. E si fa in cinque

Cinque consorzi per diversi ambiti. Una riorganizzazione che è anche un nuovo modo di fare comunità. Ecco le linee strategiche per il prossimo triennio

di Maurizio Regosa

Fare comunità nella diaspora. Non è solo un titolo suggestivo. È un orizzonte, una prospettiva, un progetto. Al limite una necessità, dietro la quale però si celano tante (troppe?) esigenze organizzative e strutturali. Non è immediato infatti individuare quali siano gli strumenti migliori del fare comunità. Anche perché i bisogni, come i territori, cambiano continuamente, sollecitati da spinte anche contraddittorie (welfare locale, risposta a esigenze solo territoriali?). La fatica del cambiamento Lo sanno bene quelli di Cgm, una delle realtà che in tempi di diaspora e deliri secessionistici ha tentato, spesso riuscendovi, di individuare proposte unitarie fondate sovente sulla reciprocità. Sulla soglia dei vent?anni (il consorzio è nato nel febbraio 1987), Cgm sta avviando una trasformazione profonda. Un cambiamento che in verità prosegue un lavoro inaugurato anni fa, con la creazione del marchio Welfare Italia, presentato alla convention di Montecatini nel 2005: il piano d?impresa 2007- 2009 che Cgm, nato come agenzia strategica e divenuto nei mesi scorsi gruppo cooperativo, ha iniziato a elaborare a Sandetole si configura come un?evoluzione di quell?iniziativa. Da agenzia strategica a gruppo cooperativo La proposta organizzativa non è irrilevante. In questo caso agenzia strategica voleva dire tante cooperative sociali autonome, collegate fra loro da una visione anche imprenditoriale e da una specifica cultura della solidarietà. Gruppo cooperativo significa imprese egualmente indipendenti che però decidono di assumere in maniera più coesa una strategia e di portarla avanti. Come dire: le reti corte dei consorzi territoriali si possono proficuamente alleare con quelle lunghe del gruppo. Lo consente il nuovo diritto societario. Lo richiedono i tempi. Che però occorre saper anticipare. Ripensando la propria organizzazione. Al limite facendola dimagrire: non è detto che una struttura consistente possa essere più efficace di una snella e dinamica che si avvale di partnership consolidate. Appunto quello che ha fatto Cgm scegliendo di rafforzare e mettere meglio a punto la partecipazione in alcune realtà (come Aster-x, la Fondazione Talenti, Vita, il Consorzio Pan). Una dote al servizio della rete Diventando un gruppo, il consorzio si è fatto in quattro. O meglio in cinque: ha cioè costituito o rimesso in asse altrettante società di scopo – ciascuna chiamata a occuparsi di un settore specifico. Cinque consorzi (Accordi, Mestieri, Luoghi per crescere, Comunità solidali, Cgm Finance) per diversi ambiti. Lo potremmo chiamare decentramento. Se non fosse anche un rinnovamento. Operativo e concettuale. Operativo perché così facendo Cgm punta alla specializzazione e cioè a una maggior qualità dei servizi, dei progetti, delle iniziative. Concettuale perché oltre a generare un modo diverso di essere rete, apre la porta a nuovi soggetti. Non necessariamente cooperative (la legge sull?impresa sociale ha, fra i suoi meriti, quello di rendere più laico il quasi ?mercato? del terzo settore). Linee strategiche per il futuro La strategie del prossimo triennio passa per alcune tappe. Anzitutto il potenziamento degli snodi territoriali: si punta ad arrivare ai cento consorzi (dagli attuali ottanta), con una base sociale non di sole cooperative e rafforzati finanziariamente (anche per mezzo di un accordo con le Bcc), cui andranno sommandosi alcune società geocomunitarie. Contemporaneamente si intende puntare a rafforzare il collegamento fra questi snodi, utilizzando la già esistente struttura intermedia dei poli consortili (raggruppamenti su base regionale dei consorzi territoriali), e incrementandone le risorse umane con appositi corsi di formazione e aumentandone la capacità di comunicazione attraverso lo strumento del bilancio sociale. Su un piano più rigorosamente produttivo, si intendono lanciare, attraverso le società di scopo, alcuni nuovi servizi che permettano all?intero sistema di incrementare il fatturato svolgendo un miglior servizio alla collettività per il tramite di una miglior integrazione di rete e una più efficace capacità distribuita (attraverso anche nuove partnership). Complessità e cooperazione Dietro queste scelte – che nei prossimi mesi saranno oggetto di discussione e analisi condivisa – naturalmente ci sono problemi nuovi. Le definizione delle società geocomunitarie, ad esempio, deve superare un livello intuitivo e darsi una concreta progettualità. Occorre, ad esempio, fare in modo che siano strumenti del gruppo e che nello stesso tempo non si sovrappongano agli snodi già esistenti ai diversi livelli. Altro punto caldo, la funzione dei poli regionali che sono stati ?inventati? per dare concretezza a un decentramento sussidiario. Va da sé che dovranno ripensarsi, regionalizzandosi nella mission di sviluppo del territorio assecondando i compiti produttivi e distributivi delle società di scopo, nonché alle nuove alleanze che si intendono lanciare. «Far cooperare questa complessità», ha detto nel corso dell?incontro il presidente Johnny Dotti, «non è semplice. Per riuscirci si deve partire dal presupposto che si sta insieme per recuperare il limite di ciascuno, per creare un più ampio valore che non è la somma delle parti. Da questo punto di vista è centrale continuare a ragionare sul tema del potere e della reputazione necessaria, quella che genera il potere e non ne è generata».


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