Famiglia

Cerco amici per l’Africa

La povertà dei villaggi, lo sguardo dei bimbi,l'impegno dei missionari.Il comico, che con il Continente nero ha una lunga storia d'amore, ricorda quei giorni sul set.

di Antonio Autieri

Eduardo, animatore turistico quarantenne chiamato da tutti Dodò, si ritrova con due compagni di viaggio a sorvolare una zona sperduta del Kenya quando il loro piccolo aereo rimane senza benzina. I tre, raccolti da un sacerdote italiano da quasi trent?anni in Africa, si ritrovano così nella missione di padre Luca, distante vari giorni dai primi centri abitati ?moderni?: il rientro verso il mondo occidentale sarà rinviato da continui imprevisti e dovranno tentare di adattarsi a una realtà di sporcizia, miseria e morte, insieme a pochi italiani (un prete, due suore, un obiettore di coscienza), una dottoressa africana e gli ospiti della missione, in maggioranza malati, vecchi e bambini che parlano solo swahili. Un vero incubo per il trio… Raccontata in poche battute sembra una storia tristissima. E invece Muzungu, in swahili significa ?uomo bianco?, è una commedia divertente ma anche commovente, scritta e fortemente voluta dall?attore e scrittore comico Giobbe Covatta. Il suo personaggio, Dodò, è un quarantenne disilluso, che sente di sprecare la propria vita ma che si troverà di fronte a una realtà inimmaginabile cui reagirà all?inizio con fastidio, poi con passione. Toccante, in particolare, il rapporto che si crea con Amria, una bambina che ha visto morire la madre e che si è chiusa in un doloroso mutismo. Covatta collabora dal 1994 con l?Amref (la Fondazione africana per la medicina e la ricerca): «Dopo aver conosciuto il direttore Tommy Simmons, ho iniziato a girare per loro documentari e a fare da testimonial per spot e campagne di sensibilizzazione». I lunghi periodi trascorsi in Africa con l?Amref, dove è venuto a contatto con popolazioni e missionari che vivono in condizioni di vita difficilissime, si sono riversate nel film diretto da Massimo Martelli, a sua volta impegnato con l?Amref che finanziò il suo precedente ?Pole pole? (con Fabio Fazio). In occasione dell?uscita del film nelle sale cinematografiche, abbiamo rivolto alcune domande a Covatta. La tua interpretazione è molto sincera, piena di commozione e scatti rabbiosi. Questa esperienza, evidentemente, ti ha coinvolto profondamente: ti sei sentito Dodò? La verità è che sono un attore straordinario… A parte gli scherzi, non è che mi sono sentito Dodò, io un po? sono Dodò perché il film deriva, ovviamente, dalle mie esperienze personali, perché per scrivere una storia così devi conoscere le persone, le situazioni, i luoghi: tutte cose che non ti puoi inventare. Lavorare di fantasia ti porterebbe completamente fuori strada, devi partire da presupposti concreti, reali. Quindi, in qualche misura, io sicuramente sono Dodò. Però è una ?maschera? di un film, con tutta una serie di sfumature tipiche di un personaggio da film. È stato difficile convivere con le popolazioni del luogo, coinvolte a recitare nel film? Pensavamo che l??uomo bianco? avrebbe avuto difficoltà ad ambientarsi, ma dopo i primi momenti di difficoltà oggettiva – i disagi pratici, la comunicazione problematica per noi che sappiamo l?inglese molto meno di loro – si è creata una vera intesa. Ci sono tanti aneddoti e ricordi, alcuni divertenti e altri commoventi: dopo otto settimane di lavorazione vicino al lago Baringo, partire è stata una tragedia. È stato faticoso, ma i rapporti che si erano stabiliti erano eccezionali, di reale amicizia. Soprattutto con i bambini, abituati a una vita dura e a lavorare dai tre anni e mezzo in su: con loro basta una carezza, li fai giocare mezzora – nessuno li ha mai fatti giocare mezzora… – e te li sei fatti amici per tutta la vita… Come con Amria, di cui sono diventato amico regalandole un pupazzetto: è diventata la ?mia? bambina per tutto il tempo che sono stato in Africa. Il suo personaggio si ispira a una bambina che avevamo incontrato anni fa quando ho iniziato a lavorare per l?Amref e con la quale avevo un rapporto privilegiato. Recitando con la bambina, mi sono sforzato, e in parte ci sono riuscito, di parlare lo swahili. Ho imparato solo cinquanta parole, lo mischiavo con altre lingue, ma alla fine si comunicava: ed era straordinario soprattutto che lei comunicasse con me. Nei primi piani di campo e controcampo, ci suggerivamo a vicenda le espressioni da assumere… Che idea ti sei fatto di chi, religioso o laico, si dedica completamente a queste realtà? Che cosa spinge questi missionari a fare quel che fanno? La voglia di amare il prossimo loro come se stessi, quello che la Chiesa dovrebbe fare sempre e che invece non sempre fa. Uno che fa quel ?mestiere? dovrebbe avere dei riferimenti precisi. Non voglio generalizzare, i personaggi che abbiamo raccontato rispecchiano persone che abbiamo incontrato: ho conosciuto dei padri comboniani eccezionali, persone di grandissimo spessore e amore per il prossimo. Ho intervistato, sempre per l?Amref, Alex Zanoteli, ex direttore di Nigrizia, umanamente un gigante, che dormiva per terra… C?è un equivoco che vorresti fosse evitato dal pubblico? Mi piacerebbe fosse chiaro che ?Muzungu? è fiction, che tende a far divertire e forse a far commuovere in qualche momento, raccontando una storia. Un film è un prodotto industriale, che deve avere anche caratteristiche commerciali: non bisogna confondere con la mia attività all?Amref. A proposito, devo ringraziare chi ha versato contributi: sono giunti quasi due miliardi di donazioni, una risposta straordinaria.


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