Famiglia

Cercasi operaie sterili

Più di cento casi di lavoratrici minacciate di licenziamento in caso di gravidanza. E molte scelgono la sterilizzazione. Succede in Abruzzo, e la Cgil indaga.

di Paola Mattei

La sterilizzazione entra in fabbrica. La denuncia arriva dal più grande sindacato italiano, la Cgil, a cui sono arrivate decine di segnalazioni da parte di operaie costrette a presentare un certificato di avvenuta sterilizzazione per ottenere un posto di lavoro. A minacciarle, o meglio a ?consigliarle vivamente?, imprenditori senza scrupoli che hanno posto loro un drastico aut-aut: o rinunciate alla maternità o niente assunzione. Non succede in qualche sperduto villaggio della Cina, ma nell?operoso Abruzzo. A lanciare l?allarme è la segreteria di Pescara della Cgil, che aveva ricevuto fino al settembre scorso 107 segnalazioni da parte di donne sottoposte a un colloquio di assunzione che terminava con la minaccia: «se rimani incinta, sei licenziata». Di qui, per molte, il ricorso al ginecologo per farsi chiudere le tube. Da settembre i casi sono aumentati. Il fenomeno non accenna a fermarsi.
Ecco la denuncia di Luciano Fratoni, della Cgil di Pescara. «I datori di lavoro fanno capire alle donne che in caso di gravidanza il posto sarebbe irrimediabilmente a rischio» racconta. «Quindi capita che qualcuna si ripresenti dall?industriale con il certificato di sterilizzazione per essere sicura di venire assunta». I casi di sterilizzazione su cui si indaga riguardano soprattutto lavoratrici dell?industria tessile e alimentare. «Le realtà a rischio sono quelle di piccole e medie dimensioni, in cui l?imprenditore si sente un padre-padrone» continua Fratoni. «Nelle aziende più grandi il discorso sulla maternità non gradita si fa ugualmente, ma con più eleganza, senza ultimatum drammatici. Le piccole ditte invece a volte sono un territorio senza legge: non è un caso che gli episodi di sterilizzazione siano avvenuti in presenza di altri problemi, quali lo sfruttamento e il lavoro nero».
La Cgil abruzzese è particolarmente attiva nello scovare casi di irregolarità ai danni dei lavoratori: è sempre Fratoni a parlare, ad esempio, di lettere di licenziamento in bianco fatte firmare all?atto dell?assunzione, in modo da poterle utilizzare in qualsiasi momento, o ancora di molestie sessuali o licenziamenti per futili motivi. Ma i casi di sterilizzazione costituiscono sicuramente la violazione più grave, anche se la più difficile da portare alla luce. Nessuna denuncia formale, infatti, è stata ancora presentata, a causa della delicatezza dell?argomento. «Nessuna delle vittime di questi ricatti ha voluto uscire allo scoperto» conclude Luciano Fratoni. «Quindi abbiamo le mani legate. Gli imprenditori disonesti contano sulla vergogna delle ragazze, e la fanno franca. Non ci resta che sperare che qualcuna trovi il coraggio di denunciare gli sfruttatori».
Se il problema è emerso in Abruzzo, comunque, non si può escludere che sia diffuso anche nel resto d?Italia. «Gli ?esami di maternità? sulle lavoratrici sono una storia vecchia» spiega il sociologo Bruno Manghi, esperto di etica del lavoro, «specialmente nel settore tessile che occupa quasi esclusivamente donne. Arrivare alla sterilizzazione è un abominio, ma non si tratta di uno scenario inverosimile se si pensa che in Italia manca una cultura che consideri la maternità una risorsa e non un peso. Nel ciclo produttivo oggi una lavoratrice che diventa mamma è un costo in più, non solo in termini economici ma anche organizzativi. Ora, è chiaro che non possiamo lasciar decidere tutto al mercato, ma è bene che la politica intervenga con dei correttivi che premino la maternità come risorsa».
Inche modo, secondo lei? «Dobbiamo rivedere le politiche dello stato sociale», continua Manghi, «trasferendo alcune risorse dal comparto pensionistico a quello degli incentivi alle famiglie, e quindi alla maternità. Solo così avere figli non sarà visto come una colpa, ma come un merito».

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