Il tempo libero dei ragazzi
Centri di aggregazione giovanile, c’eravamo tanto amati
Nel 2000 i centri di aggregazione giovanile finanziati con la 285 erano ben 530. Nel 2017 appena 40. Oggi sono solo 110mila in tutta Italia gli under 18 che frequentano un centro di aggregazione giovanile: uno su cento. Ma dopo la pandemia tutti scommettono sul loro rilancio
Undici su mille, ovvero poco più di uno su cento. Tanti (o meglio pochi) sono gli under18 che in Italia frequentano un centro aggregativo. Le differenze territoriali sono enormi: nel nord-est i centri di aggregazione hanno 26,4 utenti ogni mille minori residenti, mentre nel sud si contano appena 2,4 utenti ogni mille minori residenti. Tu chiamala, se vuoi, condanna alla solitudine.
Inizialmente sostenuti con i fondi per il contrasto della criminalità giovanile e della prevenzione nell’uso di droghe, gli spazi per i giovani hanno conosciuto un periodo di fermento con l’entrata in vigore della legge 285/97, tramite la quale venne istituito il Fondo nazionale per l’infanzia e l’adolescenza. Con quel provvedimento si ebbe un cambio di paradigma nell’approccio alla questione giovanile, passando da un’ottica emergenziale, di prevenzione del disagio e dell’emarginazione giovanile, ad una di promozione del benessere e di crescita dei giovani attraverso l’organizzazione del tempo libero. A partire dagli anni Duemila sono stati implementati su tutto il territorio nazionale circa 900 progetti sociali legati all’aggregazione giovanile.
Nonostante abbiano una storia più che ventennale, in Italia però non esiste ancora né un registro nazionale dei centri di aggregazione, né una stima del loro numero: ad oggi, essi non trovano un inquadramento in una legge nazionale, ma vengono regolamentati a livello regionale. Anche se poi le regioni dicono che i fondi destinati ai centri di aggregazione per adolescenti e giovani vengono gestiti dai comuni e quindi per avere un trend delle risorse erogate rimandano all’Anci. La regola è che il 50% del Fondo nazionale politiche sociale deve essere finalizzato a servizi per infanzia e adolescenza, ma all’interno di questo perimetro ovviamente non ci sono ulteriori “appigli” per capire quanto sia andato specificatamente per luoghi di aggregazione.
Stesso nome, diverso servizio: diverso servizio, stesso nome
Il nomenclatore degli interventi e dei servizi sociali, elaborato nel 2013 dal Cisis (un organo tecnico della Conferenza delle Regioni), prevede cinque tipologie di servizio sotto la macro categoria dei Centri con funzione educativo-ricreativa: le ludoteche (Codice LA1), i Centri di aggregazione sociali (che possono essere sia per giovani sia per anziani (codice LA2), i Centri per le famiglie (LA3), i Centri diurni di protezione sociale (anch’essi con funzione di protezione sociale e rivolti non solo a minori (LA4) e i Centri diurni estivi (LA5). Gli unici dati aggregati disponibili vengono dal report di Openpolis per l’Osservatorio Con i Bambini, che lavora sui dati Istat sui centri di aggregazione e sociali offerti dai Comuni e sulle relazioni al Parlamento sull’attuazione della 285/1997: per il resto è pressoché impossibile estrapolare a quanto ammontino le risorse destinate agli spazi di aggregazione per i più giovani.
110mila ragazzi in Italia frequentano un Centro di aggregazione giovanile
Secondo Istat e Openpolis quindi sono poco più di 110mila gli utenti minori dei centri di aggregazione in Italia, con Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige in testa per rapporto tra utenti e numero di minori residenti. In particolare Trieste e Trento sono le uniche due province dove il rapporto supera quota 100, seguite da Pordenone (54,4), Modena (43,9), Sondrio (41,5), Nuoro (38,4), Oristano (37,6) e Ferrara (35,8). In Sicilia spicca la città metropolitana di Palermo, con 34,8 utenti per mille residenti under18, su una media regionale pari a 9,6 su mille.
La legge 285, che riguarda ormai solo le 15 città riservatarie (sono le 15 città più grandi o con bisogni più significativi in materia di infanzia e adolescenza, a cui la Legge 285, garantiva una quota riservata del Fondo nazionale infanzia adolescenza, oggi riassorbito dal Fondo per le politiche sociali), permette ai Comuni di presentare un’offerta di centri di aggregazione e di strutture rivolte al tempo libero di bambini e ragazzi molto variegata: centri diurni socio-educativi e ludoteche sono i due servizi più ricorrenti (sono presenti in tutte le 15 città), seguiti da centri di aggregazione e biblioteche per ragazzi (85% dei comuni considerati), mentre appare minore la diffusione di centri diurni estivi (71%) e dei centri per le famiglie (57%).
In termini di servizi finanziati, quelli relativi all’articolo 6 della legge 285, che fa riferimento appunto ai servizi ricreativi ed educativi per il tempo libero, sono stati sempre in seconda posizione, dopo quelli relativi all’art. 4 dedicato a Servizi di sostegno alla relazione genitori-figli, di contrasto della povertà e della violenza, nonché misure alternative al ricovero dei minori in istituti educativo-assistenziali.
Da 530 a 40
Nel 2018 i progetti relativi all’articolo 6 sono la maggioranza: 129 progetti su 292 attivi nelle città riservatarie, pari al 44% del totale. E nella programmazione del 2020 hanno raggiunto ben il 50,1% contro il 35,6% destinato ai servizi per l’articolo 4.
Le percentuali dicono qualcosa ma non tutto: basti pensare che al 9 novembre 2000 gli interventi complessivi realizzati con la legge 285 e presenti nell’archivio risultano essere 6.826. I Cag sono la seconda voce: 530, pari al 6,74%. Poi ci sono 373 centri ricreativi, 244 ludoteche, 83 ludobus… Nel 2017 i Centri di aggregazione sociale finanziati dalla 285 (secondo la mappatura realizzata con il nomenclatore degli interventi e dei servizi sociali del 2013) sono 40, le ludoteche 17, i centri diurni estivi 9, le attività ricreative e di socializzazione 96.
Nel 2000 i centri di aggregazione giovanile erano, per numero, la seconda voce degli interventi finanziati con la 285: ben 530. Nel 2017 i centri di aggregazione sociale erano appena 40
Il trend delle risorse
Nell’ultima relazione al Parlamento, presentata nel 2023, le iniziative del 2019 programmate sull’articolo 6 – servizi ricreativi e aggregativi per il tempo – erano il 43,1% del totale, per quasi 9 milioni di euro (ma si va dagli 0 euro di Bologna, Genova, Milano, Palermo e Taranto agli oltre 3 milioni di Napoli e Roma), anche se poi questi servizi pesano effettivamente il 39% se andiamo a vedere i progetti attivati e finanziati. Nel 2020, il 50,1% delle risorse programmate è destinato a progetti relativi all’art. 6, ma i comuni che li prevedono sono solo quattro (Catania, Firenze, Napoli e Roma) e l’importo totale scende a 7 milioni di euro. Sui 15 Comuni, nel 2020, solo Bari e Roma mettono fra gli obiettivi della programmazione il rafforzamento del sistema di servizi per attività ludico-ricreative, aggregative, sportive e culturali per bambini e adolescenti e solo Bari e Firenze prevedono l’attivazione di nuovi servizi.
Nel 2020 solo Bari e Roma mettevano fra gli obiettivi di programmazione il rafforzamento dei servizi per attività aggregative per bambini e adolescenti e solo Bari e Firenze prevedevano di attivarne di nuovi
Dopo il Covid, il ritorno degli spazi di aggregazione
Che il tema, dopo il Covid, sia tornato di attualità, lo dimostra già la relazione sulla 285/1997 presentata al Parlamento nel 2023, che descrive piuttosto dettagliatamente gli esiti di un lavoro di indagine svolto dall’Istituto degli Innocenti tra i comuni riservatari sugli impatti prodotti dall’emergenza sanitaria nell’attuazione e nella rimodulazione dei servizi socioeducativi e sulla ripartenza (ricerca è stata condotta tra ottobre e dicembre 2021).
Il tema della partecipazione di ragazzi, ragazze, bambini, bambine e famiglie è diventato centrale per tutti. Così come il bisogno stringente di non perdere la presa su quella fascia di adolescenti che dopo il Covid ricerca nuovi modi e tempi di socializzazione. Emerge con chiarezza l’importanza di far partecipare i ragazzi e le ragazze all’identificazione dei propri bisogni: la guida degli adulti significativi – imprescindibile – deve servire come orientamento rispetto al metodo di lavoro e come supporto per la conoscenza dell’esistente, senza sostituirsi né imporsi.
Contenitori e contenuti
«È un motivo di ricerca anche per noi, stiamo lavorando nei posti del comune in cui i ragazzi si incontrano di più, parchi, piazze, anche perché i ragazzi si muovono, non è che puoi fare un progetto su un parco, perché li hai lì e domani da un’altra parte. Quindi un progetto educativo-sociale di mobilità e incontro, con proposte un po’ più strutturate, alcune sono anche sul web con attività che possono appassionare i ragazzi, musica, teatro, altre cose, ma anche scambi. Partiamo da quello, anche perché per essere visibili dobbiamo mettere dei contenitori, ma poi soprattutto per luoghi e incontri in piazza per partire da loro e capire se c’è qualcosa che conta, per coinvolgerli. Cose che erano state un po’ perse, non solo con la pandemia, anche prima. Stiamo tornando a quella che era l’educativa di strada, è fondamentale», dice un operatore.
«Credo che queste cose vadano un po’ indirizzate, anzi, indirizzate no, perché
devono essere loro a creare i loro progetti in base a quello che loro pensano siano i loro bisogni, però credo che sia importante far capire ai ragazzi che bisogna proprio rilevare i bisogni che il territorio ha, in base ovviamente anche alle loro inclinazioni, le loro passioni, le loro competenze», dice un altro.
«Gli adulti vedono le opportunità che il comune offre, i ragazzi meno, fanno più
fatica. Bisogna oliare un po’ la nostra capacità di poter comunicare con loro attraverso il web proprio per far arrivare ai ragazzi tutte le opportunità che il comune offre, perché a volte non queste arrivano e l’isolamento aumenta», afferma un terzo.
Quattro pilastri per uno spazio aggregativo che funzioni
Quattro i bisogni fondamentali individuati e quindi gli assi di una buona coprogettazione, capace di realizzare davvero la partecipazione degli utenti dei servizi socioeducativi: riappropriazione degli spazi, peer to peer education, co-costruzione proprio progetto di vita, sentimento di utilità nei confronti della cittadinanza.
«Abbiamo continuato a fare educativa domiciliare e nel 2021, nella
seconda fase della pandemia, con i fondi ex legge n. 285 del 1997 stavamo ipotizzando di ripristinare i Cag che avevamo fatto tanti anni fa. Ne stiamo ipotizzando otto, uno per circoscrizione», dice un quarto operatore a dicembre 2021.
Una diversa concezione del tempo libero
Vero è che l’indagine annuale di Istat sulla vita quotidiana mostra come nel corso degli anni la quota di bambini e ragazzi che, nel tempo libero, vedono ogni giorno i propri amici è drasticamente diminuita: il 70% dei preadolescenti per esempio (11-14 anni) nel 2005 vedeva i propri amici con frequenza quotidiana, mentre oggi siamo appena al 34,3%. Sono cambiate le abitudini, è arrivato il digitale, ma il bisogno di socialità e di aggregazione resta lo stesso: è un bisogno evolutivo proprio della preadolescenza e della adolescenza.
«Non è un caso che i ragazzi, quando abbiamo domandato cosa servisse per migliorare il loro quartiere, hanno in prevalenza chiesto luoghi di aggregazione (campi sportivi, parchi verdi) e mezzi di trasporto pubblici per poter raggiungere un cinema o un amico in un’altra zona della città», diceva l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza già prima del Covid, nel 2019, nella sua Relazione al Parlamento.
Uno spazio per intercettare la famiglia, non solo i giovani
La relazione del 2023 sulla attuazione delle 285 dedica un focus ai Centri di aggregazione giovanile: sì, torna proprio la “vecchia” dizione. Strategicamente, si legge, alcuni comuni hanno utilizzato i centri di aggregazione giovanile (Cag) come contenitori capaci di rispondere non soltanto ai bisogni del minore, ma di tutta la famiglia.
Ad esempio, il Comune di Catania nel 2020 ha avviato un processo di aggiornamento dell’accreditamento e ha aperto quattro Cag, passando da nove a 13. Nel 2021 nel Comune di Roma in alcuni Cag sono stati istituiti degli sportelli di ascolto per il benessere mentale grazie al supporto della Asl, nel Comune di Bari all’interno dei Cag hanno aperto sportelli di supporto psicologico, di orientamento, attività di supporto scolastico per contrastare la dispersione. Nel Comune di Taranto è stato creato un centro servizi per le famiglie, mentre nel Comune di Palermo hanno previsto nuovi centri per la famiglia su tutto il territorio come sostegno al contrasto al drop out scolastico.
Durante il lockdown i ragazzi hanno fatto un’indagine in merito a ciò di cui avessero bisogno. I ragazzi hanno bisogno di luoghi di aggregazione e luoghi strutturati dove potersi incontrare
Comune di Venezia
I Cag in overbooking
I Cag del comune di Torino, nel 2021, «sono andati in overbooking». Il Comune di Milano ha auspicato un inquadramento differente dei Cag, adesso ricostituitisi come centri di attività ludico-ricreativi ma in difficoltà a raggiungere i minori fragili ad alta criticità: «La rete dei Cag regge abbastanza, anche se non raggiunge più il target dei meno inquadrabili, perché i Cag si sono ricostruiti come centri di attività ludicoricreative, avevano una bassissima soglia ma non la hanno più così bassa. Manca una bassa soglia, non riusciamo ancora a sostenere genitori e insegnanti in modo più sviluppato e universale a tappeto».
Dopo il Covid quindi il rafforzamento dei centri di aggregazione e i centri per la famiglia è un tassello importante del tentativo avviato dalle amministrazioni dei
comuni riservatari di avviare un vero e proprio cambio di paradigma, «un
salto evolutivo» che sia capace di ripensare la relazione con i ragazzi e con la rete territoriale. Il gran fermento attorno agli spazi di aggregazione per gli adolescenti e i giovani che ora vediamo a livello nazionale si fonda sugli stessi ragionamenti, al di fuori del “piccolo circolo” delle 15 città riservatarie. Intanto però sono passati (già) quattro anni.
VITA Inchieste, Il tempo libero dei ragazzi, puntata 3 – continua
Foto in apertura di Federico Izzo su Unsplash
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