Gap year

Dopo le superiori? Mi prendo un anno sabbatico

Sono sempre di più i giovani che dichiarano di volersi prendere un anno sabbatico. Secondo Daniele Grassucci, co-founder e direttore di Skuola.net, «il rinvio della scelta è anch’esso una scelta. Senza un programma di esperienze di vita significative, credo possa essere un grosso rischio. Se invece si accompagna a un serio percorso di ricerca del sé, diventa un’ottima opportunità»

di Chiara Ludovisi

Fino a qualche tempo fa – un decennio o forse anche meno – non c’erano dubbi, dopo le superiori la strada era segnata: o l’università, o subito al lavoro. Oggi c’è una terza via ed è quella indicata da un numero crescente di ragazzi e ragazze in vista degli esami di maturità: incerti sul futuro, con le idee un po’ confuse, sono tanti, sempre di più, quelli che dichiarano di volersi prendere un anno sabbatico. Un nome biblico, per indicare una tendenza che nel nostro Paese è recente: all’estero invece il gap year – questa la sua definizione internazionale – si è affermato già da tempo. Una possibilità che ne ha dentro altre mille, tante quante sono le possibili declinazioni di questa scelta: unico denominatore comune è il posticipo dell’iscrizione all’università, o dell’inserimento nel mondo del lavoro. Una pausa di riflessione che però quasi sempre – come vedremo – si accompagna a un’esperienza formativa.

Dati ufficiali non ce ne sono, ma recentemente Skuola.net ha condotto uno studio insieme a Elis proprio per indagare le dimensioni, le ragioni e le forme di un fenomeno che sembra diffondersi sempre di più anche nel nostro Paese. Su un campione di 3.200 studenti delle superiori, ben il 16% dichiarava di volersi prendere una pausa di un anno o anche solo di qualche mese, per riflettere sul proprio futuro. Una percentuale significativa, soprattutto se paragonata agli anni precedenti: l’11% nel 2021 e il 13% nel 2022. Va detto che l’idea viene poi abbandonata da alcuni, visto che tra gli studenti dell’ultimo anno la percentuale scende al 12%: comunque il doppio rispetto al 2021, quando soltanto il 6% dei maturandi pensava di “prendersi una pausa”.  Per delineare meglio i contorni di questa tendenza e provare a comprenderne le possibili ragioni, abbiamo interpellato Daniele Grassucci, co-founder e direttore di Skuola.net.

Quali sono le ragioni che spingono i ragazzi e le ragazze a prendersi un anno sabbatico dopo la maturità?

Le ragioni sono oggi spesso diverse rispetto al passato, quando questa pausa veniva utilizzata soprattutto per imparare una lingua, o vivere un’esperienza all’estero. Anche oggi questa è una tendenza diffusa, tanto che ci sono organizzazioni specializzate che offrono programmi all’estero per il gap year, finalizzati all’apprendimento di competenze linguistiche e non solo. I dati che abbiamo raccolto con Elis ci svelano però almeno altre due ragioni di questa scelta, che dovrebbero preoccuparci: per molti (il 23% circa), l’anno sabbatico serve per riposare dopo un percorso scolastico che ha creato ansia e stress, sottraendo energie. Questo significa che nell’esperienza scolastica c’è qualcosa che non va, oppure che i ragazzi e le ragazze non sono oggi abbastanza resilienti: quel che è certo è che a 19 anni non dovrebbero aver bisogno di riposare, ma dovrebbero essere pronti a “spaccare il mondo”. La seconda ragione preoccupante, che spesso sta dietro questa scelta (il 28%), è l’inadeguatezza dell’orientamento durante il percorso scolastico: gli studenti e le studentesse escono dalle superiori con le idee confuse sul proprio futuro e sulle proprie attitudini e sentono il bisogno di prendersi tempo per capire cosa fare.

Daniele Grassucci, co-founder e direttore di Skuola.net.

Vuol dire, in altre parole, che l’orientamento in Italia non funziona?

Sono abbastanza convinto che non funzioni bene: ogni studente avrebbe il diritto di uscire dalle scuole medie prima e dalle superiori poi con tutti gli strumenti in mano per potersi orientare o nell’universo della formazione o nell’universo del lavoro. Nella realtà, questo diritto è molto legato alla discrezionalità delle scuole, all’occasionalità e alla sensibilità delle comunità educanti. Inoltre, si è creato un grosso equivoco: che l’orientamento sia sinonimo di open day. L’open day può aiutare a scegliere la struttura, ma non a scoprire le proprie passioni e talenti, né tanto meno a individuare i percorsi coerenti con questi. Credo quindi che ci si debba impegnare molto di più nell’orientamento, fin dalla primaria, investendo in questo risorse e professionalità, per aiutare i ragazzi e le ragazze a compiere le scelte migliori e a scoprire e coltivare le proprie attitudini.

Ma allora, in assenza di orientamento e per chi ha le idee confuse, il gap year può essere una buona idea?

Dipende. Innanzitutto, dobbiamo riconoscere che il rinvio della scelta è anch’esso una scelta e come tale va considerata e rispettata. Se però è un rinvio passivo, senza un programma e senza esperienze di vita significative e acquisizione di competenze, allora credo possa essere un grosso rischio. Se invece si accompagna a un serio percorso di ricerca del sé, di sviluppo di conoscenze e di esperienze significative, allora diventa un’ottima opportunità, che può essere certamente funzionale alla scelta del proprio futuro. L’importante, credo, è non fermarsi, ma iniziare subito a fare. Viviamo in un mondo che ci permette di essere flessibili, si cambiano continuamente mestieri e aziende: una professione non è per sempre, come avveniva tempo fa. Questo perché c’è minor disponibilità di posti a tempo indeterminato, ma anche perché c’è un’evoluzione tecnologica tale che il mondo delle professioni cambia e cambierà continuamente. Per questo, consiglio di fare, perché è facendo che si inizia a capire cosa si desidera davvero e si scoprono le proprie attitudini e capacità. Vedo invece tanti ragazzi fermi a guardare la vita che scorre, mentre aspettano l’occasione formativa o lavorativa dei sogni, che forse non arriverà mai perché non sono in grado di coglierla. Insomma, “prendersi un anno sabbatico”, come dicono oggi i giovani, può anche essere la scelta migliore: l’importante è che questo non sia vissuto come un anno di pausa, ma sia riempito e arricchito di esperienze che non è stato possibile vivere prima e che forse non si potranno vivere in futuro.

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