Educazione

Cellulari a scuola, vietarli non è un passo indietro

Continua a far discutere la circolare inviata dal ministro Valditara. Marco Ferrari è preside a Bologna e i cellulari in classe li ha vietati già da due anni: «Oggi dire niente smartphone fino a 14 anni sembra controcorrente, ma il futuro è quello»

di Sara De Carli

Niente cellulare a scuola, ma tutti i docenti formati sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Accade al Liceo Malpighi di Bologna, che già da due anni (era il settembre 2022) ha bannato i cellulari dalle classi, sia per gli studenti sia per i professori. Sta in questo apparente paradosso la prova – provata dall’esperienza – che vietare i cellulari in classe non sia quell’azione luddista e antiquata che il dibattito vorrebbe far credere, quando ripete che la scuola non può “tirarsi fuori” dal resto del mondo, che “il problema non è il device ma l’uso che se ne fa” e che sono “i soliti adulti che non sapendo educare preferiscono vietare”. Marco Ferrari, preside del liceo Malpighi, è d’accordo con il ministro Giuseppe Valditara e con la sua contestata circolare, che in vista del prossimo anno scolastico ha vietato l’utilizzo in classe del cellulare, fino alle scuole secondarie di primo grado (tranne ove previsto dal Piano educativo individualizzato o dal Piano didattico individualizzato) e che per sviluppare l’autonomia dei ragazzi e dosare il ricorso alla tecnologia raccomanda di far scrivere i compiti anche sul diario cartaceo, non solo su quello elettronico. 

Cominciamo dalla valutazione di questa novità del ministro…

Sono molto d’accordo con l’impianto generale della comunicazione del ministro. Alle superiori capita che lo smartphone ti serva per realizzare dei video, per disporre di sensoristica, per dei progetti. In quel caso, pur avendo optato già da due anni scolastici per il “niente cellulari in classe”, per tutti, il cellulare ai ragazzi lo diamo, per il tempo per cui serve. Sono d’accordo con il ministro quando cita le ricerche che mettono in allerta sul fatto che lo smartphone è fatto per creare una dipendenza dopaminergica. 

Com’è andata la vostra esperienza?

Stare senza gli smartphone ha creato un ambiente di relazione di sguardi, corpi, vita che è meravigliosa. Tutti lo riconoscono. Poi ovviamente questo non è la salvezza da tutti i mali che affliggono la scuola, le classi e l’apprendimento. È chiaro che prima di tutto dobbiamo migliorare le competenze dei docenti, l’empatia, la capacità di suscitare interesse nei ragazzi: sono quelli i punti salienti, perché la scuola è relazione, contenuti, metodologie didattiche. Ma avere il cellulare in mano è un problema in più, che se lo togli non hai. Dopo due anni di sperimentazione, dal prossimo anno scolastico questa scelta al Malpighi diventerà sistemica: su 52 docenti, ci sono stati solo 3 contrari.

Fino a 14 anni niente smartphone e dai 14 ai 16 sì ma con grande attenzione: dire oggi queste cose è controcorrente, ma a breve saremo tutti concordi. Non dobbiamo aver paura di fare passi indietro, stiamo semplicemente facendo il nostro dovere di educatori

Marco Ferrari, preside liceo Malpighi

Quale problema in meno avete rispetto alle scuole che non hanno vietato il cellulare?

Le distrazioni. Gli episodi di cyberbullismo. Il rarefarsi delle relazioni. A settembre pubblicheremo una ricerca curata da due psicologhe che ci hanno seguito in questi due anni: da noi i casi di cyberbullismo si sono azzerati, alla lettera. Tutti rilevano un netto miglioramento dal punto di vista relazionale e sociale, perché nel cambio dell’ora e all’intervallo nessuno si annichilisce davanti al suo smartphone. I ragazzi dormono di più e meglio rispetto alla media. Cambia tutto l’ecosistema. Nessuno di loro ha lamentato il fatto di non avere il cellulare. Ora, è ovvio che anche avendo in mano il tablet o il pc per prendere appunti c’è la possibilità di distrarsi e qualcuno ci ha anche provato… ma sui social è oggettivamente più difficile andarci. Insomma, fino a 14 anni niente smartphone e dai 14 ai 16 sì ma con grande attenzione: io penso che dire oggi queste cose sia controcorrente, ma a breve saremo tutti concordi e arriveremo lì. Le neuroscienze ci stanno dando tantissime informazioni su come funziona il sistema psicofisico dell’adolescente e su come avviene l’apprendimento, molte cose le stiamo scoprendo da relativamente pochi anni: non dobbiamo aver paure di dire dei no o di fare passi che possono apparire come passi indietro, stiamo semplicemente esercitando il nostro dovere di educatori, altrimenti è nascondersi dietro lo schermo della retorica per non prendersi le proprie responsabilità. Da solo non ce la fai, né come genitore né come docente, ma come consiglio di classe e come comunità educante sì. Poi ci sono anche altri risvolti. 

Quali?

Quelli che impattano anche sulle famiglie, sulle relazioni tra genitori e figli, sulla vita extra scolastica. Un papà è venuto a ringraziarmi perché il figlio, che soffre di ansia, ogni mattina gli scriveva 50/60 messaggi: da quando non ha il cellulare è stato per così dire costretto ad affrontare le sue difficoltà in maniera diversa. Poi ci sono anche i genitori, spesso le mamme, che usano lo smartphone come strumento di controllo o di narcisismo, quelle che “io sono mio figlio e grazie al cellulare non gli do né distanza né responsabilità”. 

Però diceva che togliere lo smartphone non significa tornare alla preistoria o rinunciare agli aspetti positivi del digitale nella didattica.

Anche il ministro evidenzia che «resta fermo il ricorso alla didattica digitale e alla sua valorizzazione». Il fatto è che tutti parlano di metodologie didattiche attive, ma farle per davvero è un’altra cosa… questo è il punto. Al Malpighi usiamo i pc, i tablet, l’anno prossimo i docenti faranno formazione per tutto l’anno sull’intelligenza artificiale materia per materia… Non c’è nessuna venatura luddista o ruralista in questa scelta: semplicemente vogliamo poter fare il nostro mestiere. Sento dire spesso che vietare è una scorciatoia, che bisogna fare educazione digitale: ma chi dice così, che cosa fa realmente? E soprattutto: funziona? Riesce a regolare, a favorire l’autoregolazione dello studente nell’uso dello smartphone? Se esistono delle evidenze, ditemelo. A ma pare che nell’educazione all’uso consapevole dello smartphone ci sia tanta retorica e poco concretezza. L’autoregolazione come fai a insegnarla, se lo smartphone è qualcosa che ha a che fare con la dopamina, se è progettato per quello? 

L’altro tema è il registro elettronico. La circolare è stata messa alla berlina come se l’indicazione fosse quella di scrivere i compiti a mano sul diario, per tornare a imparare a scrivere. Personaggi molto molto autorevoli hanno ironizzato chiedendo se il diario deve essere a quadretti, a righe e con quali righe. In verità la circolare non parla della scrittura a mano ma della responsabilità dei bambini e dei ragazzi di sapere la loro agenda, le scadenze, imparare a organizzare tempi e impegni.

A parte che scrivere a mano non è una nostalgia dei vecchi tempi ma ha implicazioni neuronali, la questione del diario ovviamente non è per imparare a scrivere ma perché io devo sapere che cosa mi accade. È il tema dell’agenda. 

Nel libro che ha scritto di recente con Andrea Panìco, Bocche di leone, un capitolo è dedicato al registro elettronico, luogo in cui «tutta la vita scolastica degli studenti è visionabile, come fosse un dispositivo panoptico, dalla mamma e dal papà, che ne detengono le chiavi di accesso e che vengono avvisati tramite notifica sui loro cellulari di qualsivoglia aggiornamento. Un incubo», scrivete. Da un lato c’è la critica al dare visibilità immediata a tutta la vita dello studente, che non ha più nemmeno la possibilità o diritto o dovere di comunicare i voti che ha preso. C’è però anche l’aspetto dei compiti: il fatto che tutto venga messo solo sul registro, scrivete, «impedisce che gli studenti, piccoli o grandi che siano, inizino ad assumersi un briciolo di responsabilità rispetto a ciò che li riguarda». Oggi il ministro evidenzia appunto la necessità di sviluppare la responsabilità degli alunni oltre al fatto che se vogliamo ridurre l’esposizione alla tecnologia la scuola non può lavorare dando per scontato che tutti gli alunni abbiano accesso perenne a dispositivi tecnologici: le famiglie che hanno scelto di non dare uno smartphone ai figli, anche su questo non hanno vita facile.  

Il registro elettronico è utilissimo, non è questo il punto. Però servono dei correttivi, per esempio la media dei voti andrebbe tolta e il genitore dovrebbe poter vedere i voti solo a fine settimana. Bisogna creare distanza. È tutto troppo immediato e l’immediatezza è una patologia. Dobbiamo trovare il modo di creare luoghi dove c’è una distanza positiva, che permetta di tenere dentro tutte le sfaccettature della realtà. 

I ragazzi non imparano a gestire il tempo, ma ci sono anche docenti che ostacolano questo processo: se lasciano “appesi” gli studenti, non pubblicando i compiti sul registro è chiaro che poi è impossibile organizzarsi.

Da noi il docente deve scrivere i compiti sul registro elettronico entro le 14 del giorno in cui li ha assegnati. Quando Paolo Benanti parla di algoretica sembra una cosa lontana, ma è anche questa cosa qui, che tutti stiamo scoprendo. Davvero dobbiamo scrivere delle linee guida per una vita nuova, per quell’onlife che ha conseguenze concrete sul tempo e sullo spazio. Chi vive nella scuola sa che certi strumenti sono meravigliosi ma anche pericolosi se non usati con oculatezza: dobbiamo prenderci la responsabilità di fare delle scelte coerenti con questa evidenza. 

Foto di Photoshot, Sintesi

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