Politica
Cecilia, la passionaria del Myanmar
Chi è la sindacalista che ha dedicato un libro al dramma birmano
Lottare a fari spenti. Cecilia Brighi se n?era fatta quasi una ragione di vita. E di lotta. Quella per la liberazione del popolo birmano l?ha vista protagonista di delusioni, di riscatti improvvisi e dell?incrollabile convinzione che presto o tardi qualcuno avrebbe saputo indicare la Birmania sul mappamondo. Ora che il suo libro Il pavone e i generali è andato esaurito, può dire di non aver lavorato invano…
Vita: A quando la sua ?scoperta? della Birmania?
Cecilia Brighi: All?inizio del 1992. La Cisl mi affidò i rapporti con le istituzioni internazionali e i Paesi asiatici. Avevamo deciso di focalizzare i nostri sforzi su alcune aree chiave del continente asiatico in cui i diritti dei lavoratori erano calpestati. La Birmania non poteva certo sfuggire alle nostre campagne contro il lavoro forzato.
Vita: E qual è stata la scintilla che ha fatto scoccare la sua passione per il caso birmano?
Brighi: A Ginevra, durante una sessione dell?Organizzazione internazionale del lavoro, ho conosciuto il leader sindacale Maung Maung, sfuggito alle grinfie della giunta militare. La sua è una storia come tante altre in Birmania, fatta di soprusi e dell?impossibilità di poter ricontattare i propri familiari. Con lui ho scoperto tutte le sfaccettature del lavoro forzato, un fenomeno spaventoso capace di annichilire non soltanto gli individui soggetti alle sue logiche spietate, ma interi tessuti familiari. Ricordo in quei tempi un senso di profonda repulsione nei confronti della comunità internazionale. Lo scarto abissale che si era venuto a creare tra l?indifferenza dell?Occidente e le umiliazioni del popolo birmano è stata la molla di tutte le mie battaglie per la Birmania.
Vita: E come reagì a quello scoramento?
Brighi: All?inizio abbiamo avviato piccole operazioni umanitarie organizzate lungo la frontiera con la Thailandia. Corsi di pronto soccorso al personale medico birmano per aiutare gli sfollati nascosti nella giungla e a cui l?esercito aveva bruciato le case e distrutto i villaggi. Parlo di 500mila persone costrette a sopravvivere in condizioni disperate. Poi abbiamo svolto corsi di formazione clandestini sui diritti dei lavoratori alle donne impiegate nelle imprese locali. Con il passare degli anni, la battaglia si è poi allargata sul piano politico.
Vita: Per quanto riguarda l?Italia?
Brighi: È stato durissimo. Non tanto per i politici, che progressivamente si sono dimostrati sempre più sensibili, quanto per il corpo diplomatico italiano, estremamente refrattario a qualsiasi tipo di sanzione contro Rangoon.
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