Mondo
Cecenia: anniversario nel sangue
A sei anni dalla temporanea presa di Grozny da parte delle sue milizie, guerriglia islamico-separatista cecena scatenata
di Redazione
Fuoco, sangue e almeno una dozzina di poliziotti uccisi o feriti. E’ questo il bilancio dell’ennesimo colpo battuto oggi dalla guerriglia islamico-separatista cecena per dimostrare, a sei anni dalla temporanea presa di Grozny da parte delle sue milizie, di essere ancora viva. Ma soprattutto per dimostrare che la carneficina nel Caucaso continua, a dispetto delle precauzioni e rassicurazioni del Cremlino. A cadere nell’attentato odierno sono stati ancora una volta poliziotti ceceni dipendenti dalla locale amministrazione fedele a Mosca. L’imboscata e’ avvenuta presso Shatoi, tra le montangne a sud della regione in cui la guerriglia ha tradizionalmente i suoi rifugi piu’ sicuri. Secondo alcune fonti, un ordigno radiocomandato e’ stato fatto esplodere al passaggio di un autocarro su cui viaggiavano in totale 33 poliziotti, al rientro in caserma. Secondo altre, e’ stato un commando di ribelli ad aprire il fuoco con armi automatiche. I primi dati, in ogni caso, riferivano di una dozzina di morti tra gli agenti; poi il bilancio e’ stato ridimensionato a quattro morti e una decina di feriti. Tra questi ultimi almeno sette sarebbero pero’ in gravi condizioni, inclusi tre nipoti del mufti’ Akhmad Khadzhi Shamaiev, massima autorita’ islamica moderata della Cecenia. Sul posto sono giunti il generale Serghiei Babkin, responsabile in Cecenia dei servizi di sicurezza federali, e il capo del Consiglio di sicurezza locale Rafik Dudaiev, per coordinare le ricerche. La Procura regionale ha intanto aperto un’indagine per ‘terrorismo’ e ‘omicidio plurimo’. In tutta la Cecenia sono state inoltre rafforzate le disposizioni di allerta. Le misure di sicurezza erano state d’altro canto gia’ intensificate (ma evidentemente non a sufficienza) fin da ieri, per il fondato timore di attacchi da parte della guerriglia in occasione del sesto anniversario – che cade proprio oggi – della conquista di Grozny nel 1996 ad opera dei ribelli guidati dal comandante fondamentalista Shamil Basaiev. Un episodio, quello, che segno’ il punto piu’ basso della campagna caucasica delle forze federali e indusse Mosca a negoziare una tregua che lascio’ di fatto al potere nella regione le milizie indipendentiste per i successivi tre anni. Le ostilita’ sono poi riprese nel 1999, quando l’incursione di 2000 guerriglieri ceceni guidati ancora da Basaiev nella vicina repubblica autonoma russa del Daghestan forni’ alle autorita’ russe il motivo (i critici dicono l’alibi) per una controffensiva che ha consentito in seguito alle truppe di Mosca di riprendere possesso dell’intero territorio ceceno. Una riconquista segnata da molto sangue e denunce reciproche di brutalita’, ma che tuttavia e’ ben lungi dall’aver prodotto un minimo di stabilita’ nella regione. L’attentato di oggi non e’ che una conferma. La guerra – che secondo le stime piu’ estreme ha causato nelle sue due fasi (1994-96 e 1999-2002) almeno 100.000 morti, combattenti, ma soprattutto civili – da un paio d’anni sembra essersi trasformata in un conflitto a bassa intensita’, ma comunque sparatorie, scontri locali, agguati e imboscate continuano a fare vittime quasi tutti i giorni. Lo scenario inoltre assume sempre di piu’ i contorni di una guerra civile. I poliziotti di oggi sono solo gli ultimi tra i numerosissimi caduti ceceni legati in qualche modo all’ amministrazione filorussa e divenuti i bersagli preferiti, bollati come ‘traditori, di una guerriglia che negli ultimi anni secondo molti osservatori si e’ ulteriormente radicalizzata e ha perso parte dei consensi popolari che aveva sino al ’96, ma che puo’ ancora far leva sul malcontento determiato dagli abusi di militari russi, dalla situazione precaria di decine di migliaia di sfollati e dal mancato decollo delle promesse di ricostruzione e di pace fatte da Mosca. La ”soluzione politica” invocata di recente dagli Usa appare frattanto lontana. Un nuovo fronte si e’ invece aperto al confine con la Georgia, dove secondo Mosca centinaia di guerriglieri ceceni e mujaheddin arabi loro alleati avrebbero trovato rifugio nell’impervia valle di Pankisi. Rifugi da cui conducono periodici tentativi di infiltrazione che nei giorni scorsi si sono trasformati in scontro aperto con le truppe federali. Le autorita’ russe hanno rivolto un monito minaccioso a quelle georgiane – accusate di ”tollerare i terroristi” – e stanno cercando ora di ottenere quanto meno l’estradizione di 13 ceceni rientrati in Georgia dopo gli ultimi combattimenti: Tbilisi proprio oggi ha fatto pero’ sapere di aver bisogno di maggiore documentazione.
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