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C’è una «strategia segreta» contro le Ong che salvano i migranti?

In una lunga inchiesta pubblicata su The Intercept si chiama in causa il ruolo della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo nella controversa questione dei rapporti con la guardia costiera libica

di Marco Dotti

Indagini per lo più sommarie, precipitose, concentrate «su figure di basso profilo, spesso semplici migranti che avevano pagato per il viaggio». Migliaia di arresti, ma pochissime le condanne per «esponenti di spicco del traffico di esseri umani».

In un'inchiesta pubblicata il 30 aprile scorso su The Intercept, la testata lanciata nel 2014 sull'onda del caso Snowden, Zach Campbell e Lorenzo D’Agostino ricostruiscono una vicenda di lungo corso, cercando le cause delle attuali morti in mare molto indietro negli anni. In particolare, Campbell e D'Agostino risalgono al 2013, due anni dopo la caduta di Gheddafi, quando, secondo materiali in loro possesso, alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna), allora guidata da Franco Roberti, venne affidato «un ruolo di primo piano nella gestione del confine marittimo meridionale dell’Europa, in coordinamento con Frontex, l’agenzia che sorveglia le frontiere dell’Unione, e con le missioni militari europee al largo delle coste libiche».

Un pezzo molto duro, documentato – i giornalisti hanno avuto accesso a verbali e documenti processuali, ottenuti in base alla legge italiana sulla libertà d’informazione – , inequivocabile fin dal titolo: "Amici dei trafficanti. La Direzione antimafia italiana e la "sporca campagna" per criminalizzare l'immigrazione".

Scrivono Campbell e D’Agostino, il cui pezzo è stato tradotto da Internazionale con il titolo "La strategia segreta contro le Ong che salvano i migranti":

Nel 2013, sotto la guida di Franco Roberti, un procuratore con una lunga esperienza nell’antimafia, la Dna ha sperimentato una strategia unica: da quel momento l’immigrazione irregolare in Europa è stata affrontata con gli stessi metodi usati contro la criminalità organizzata. Con questo sistema le polizie, le guardie costiere e le marine di vari paesi d’Europa – obbligate dal diritto internazionale a salvare le navi di migranti in difficoltà – avrebbero potuto compiere qualche arresto e ottenere delle condanne. L’idea era di arrestare elementi di basso livello nell’organizzazione, gli “scafisti”, per ottenere informazioni sui vertici del traffico di esseri umani, anche convincendoli a collaborare con gli inquirenti come avveniva con i collaboratori di giustizia nei processi di mafia.

L'idea era semplice: poter risalire dal basso la linea di comando e così smantellare le organizzazioni dei trafficanti in Libia.

Ogni volta che un barcone raggiungeva le coste italiane, scrivono, «la polizia faceva una serie di arresti. Chiunque avesse avuto un ruolo attivo durante la traversata, dal timoniere all’addetto alla bussola fino alle persone che distribuivano acqua o che avevano riparato una falla, poteva essere arrestato in base alle nuove linee guida adottate dalla Dna di Roberti. Le accuse variavano dal semplice traffico di esseri umani all’associazione a delinquere internazionale, fino all’omicidio nel caso in cui qualcuno fosse morto soffocato sotto coperta o fosse annegato durante un naufragio».

Gli arresti, inoltre potevano essere spesi sul fronte politico interno, parlando di "successo" e di "azioni efficaci". Successi e azioni che, secondo i giornalisti di Intercept, hanno iniziato a preparare l’opinione pubblica italiana. Un'opinione pubblica che in quegli anni già «stava sviluppando una certa ostilità nei confronti degli immigrati, e le foto segnaletiche dei presunti trafficanti finivano regolarmente sulle prime pagine dei giornali».

E le Ong? Come risulterebbe dal resoconto di una riunione della Dna del 2017 visionato da Campbell e D’Agostino, alcuni procuratori avrebbero affermato che le «indagini sono andate incontro a uno stallo perché non hanno potuto svolgere accertamenti in forma anticipata». Per i reporter di Intercept queste parole hanno un signicato preciso: «non avevano potuto svolgere attività di polizia giudiziaria sulle imbarcazioni delle organizzazioni umanitarie che salvavano vite nel Mediterraneo».

Nella stessa riunione, si esprimeva inoltre la necessità di «disciplinare l’intervento delle navi Ong». La Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (Dna) avrebbe infine «supervisionato il processo di creazione e formazione di una nuova guardia costiera libica, sapendo che alcuni dei componenti di quel corpo militare erano d’accordo con gli stessi trafficanti che in teoria avrebbero dovuto combattere».

Nel 2017 fu proprio Campbell, sul magazine fondato tre anni prima da Glenn Greenwald a smentire con testimonianze e dati il rapporto interno in cui Frontex accusava un'Ong di aver avuto rapporti con trafficanti d'uomini. Frontex, allora, dichiarò di aver ricevuto l'informazione… dalle autorità italiane. Poi smentì tutto. Ma proprio quel rapporto, come ebbe a dichiarare Ruben Neugebauer di Sea-Watch sancì «l'inizio di una strategia di criminalizzazione» avendo posto le basi per una nuova narrazione pubblica.

Come sia andata a finire, per il lettore italiano è abbastanza noto (forse un po' meno per il pubblico di riferitmento di Sach Campbell e Lorenzo D’Agostino).

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