Non profit

C’è una onlus dietro la macchina da presa

La Fondazione San Marcellino artefice dell'exploit de «La bocca del lupo»

di Silvano Rubino

Due vite (e una città) in cerca della seconda chance. Un film che è figlio dell’esperienza quotidiana di una non profit in prima linea sul fronte dell’emarginazione «La Fondazione San Marcellino onlus presenta…», Già dai titoli di testa si capisce che La bocca del lupo, del regista Pietro Marcello, non è un film usuale. Una onlus, per di più condotta dai padri gesuiti, che si cala nelle vesti di produttore cinematografico. Ed è solo l’inizio. Tutto il film, (vincitore del XXVII Festival di Torino), è contrassegnato da questa nota di inusualità, cominciando dalla difficoltà di inserirlo in un genere preciso. Perché la storia di Enzo e Mary, galeotto lui, transessuale lei, è una storia vera. Ma La bocca del lupo non è un documentario. È anche un film narrativo, con al centro una storia d’amore piena di poesia e pudore, ma anche la storia della città che le fa da sfondo, Genova. È un film che racconta vicende private, ma lascia irrompere sullo schermo la realtà, indagando con profondità un contesto sociale così difficile da mettere in scena, quello di chi vive l’esclusione sociale, la povertà, il disagio.
Un film così inusuale, dunque, da rendere assolutamente inaspettato il piccolo exploit che lo ha visto protagonista in questi giorni. I premi, la distribuzione nazionale con la Bim, l’interesse dei giornali e, soprattutto, del pubblico. «Siamo un po’ frastornati», confessa con la più tipica delle ritrosie genovesi Amedeo Gagliardi, che per la San Marcellino ha seguito sin dall’inizio il progetto. Un progetto partito da un incontro: «Nel 2008», racconta Gagliardi, «avevamo invitato Pietro Marcello a Genova in occasione della proiezione del suo film precedente, Il passaggio della linea. Abbiamo conosciuto e apprezzato il suo sguardo. E gli abbiamo chiesto di raccontare la gente che viene da noi, di raccontare la città attraverso questa gente». Detto, fatto. La San Marcellino ci ha messo 40mila euro, un alloggio per il regista e i contatti con quel mondo dei “margini” che frequenta le sue strutture, da 65 anni in prima linea per gli emarginati e i senzatetto, nel cuore della città vecchia. Ci è voluto più di un anno, «perché non è stato facile avvicinare le persone, vincere la loro ritrosia».
Ma alla fine il risultato è stato sorprendente. «È un lavoro straordinario», dice Gagliardi, «Marcello è riuscito a mettere in immagini la vita di persone marginali, che restituiscono un grande valore, che sono al centro. Ha perfettamente centrato l’obiettivo che ci eravamo prefissi: cercare di contaminare la cultura dominante, che certe realtà non le vuole fare apparire, le tiene nascoste».
Le vite nascoste con cui i volontari e gli operatori della San Marcellino hanno a che fare ogni giorno, e che per una volta conquistano la ribalta. Portandosi dietro un carico di umanità e anche di forza espressiva: «È un film che guarda in faccia la realtà, ma lo fa in modo poetico», dice Gagliardi, «racconta la storia di due persone che si vogliono bene, da 20 anni, nonostante tutto». Dove per tutto si intende il carcere, la droga, l’emarginazione, la povertà, i pregiudizi. Attraverso le voci (e le facce) dei due protagonisti, Enzo e Mary.
Enzo e Mary sono due persone che provano a darsi una seconda chance. Un po’ come accade alla città in cui vivono, Genova, raccontata, nel film, anche da immagini di video amatoriali che coprono tutto l’arco del 900: «Il film racconta una città che da industriale diventa qualcos’altro, un qualcos’altro che ancora non si conosce. E lo fa, dal basso, attraverso le storie più ai margini», spiega Gagliardi. Quasi a immaginare un futuro in cui le piccole storie avranno la possibilità di diventare una ricchezza per la città. E non solo il suo lato nascosto.
«La sera della proiezione al Torino Film Festival», racconta padre Alberto Remondini, presidente della San Marcellino, «quando Mary ed Enzo si sono alzati per lo scroscio degli applausi, con loro, in piedi, c’erano tanti altri senza voce, persone con storie che le rendono assolutamente unici».


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