Famiglia

C’è da gestire la flessibilità. Per questo si devono superare le vecchie rigidità

di Redazione


«Siamo rimasti ancorati a una formazione ciclica, ripetitiva, nel frattempo il mercato del lavoro è cambiato in modo radicale. È necessaria un’inversione di tendenza: creare una formazione dinamica, moderna, con determinati obiettivi»Adeguarsi ai cambiamenti. È questa la linea operativa che contraddistingue le attività dell’Efal – Ente formazione e addestramento lavoratori, il braccio formativo del Movimento cristiano lavoratori che nel 2012 compie 40 anni di attività. «Negli ultimi anni, con l’arrivo della flessibilità lavorativa, è cambiata la società. È quindi imprescindibile che ora si trasformi anche tutto il sistema di formazione professionale, ovvero segua la modernità», spiega Antonio Di Matteo, 58 anni, presidente dell’Efal e vicepresidente nazionale di Mcl.
Vita: Cosa significa stare al passo della modernità?
Antonio Di Matteo: Negli ultimi anni si è rimasti ancorati a una formazione ciclica, ripetitiva, nel frattempo la società mutava in modo radicale, e con essa il mercato del lavoro. Talvolta l’offerta formativa è stata realizzata guardando più al formatore che non ai lavoratori e ai discenti, e questo va cambiato. Oggi c’è bisogno di stare il più possibile all’interno dei processi formativi, per dare la possibilità al lavoratore di cogliere al volo le nuove opportunità che si trova davanti: sia per quanto riguarda i giovani che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro, sia per coloro che sono “espulsi” dallo stesso mondo in età avanzata, e che di conseguenza hanno necessità immediata di riqualificarsi. Quest’ultima è un’esigenza che rileviamo in forte crescita, quindi ben venga l’accordo tra governo e parti sociali, per il quale esprimiamo un giudizio largamente positivo e una soddisfazione ancora maggiore perché c’è stata la convergenza di tutti, dal governo al sindacato, dalla Conferenza Stato-Regioni alle Province.
Vita: L’accordo modifica il vostro modo di lavorare?
Di Matteo: Sicuramente. E noi siamo pronti a cambiare. Per capire nel concreto come e cosa muterà, rimaniamo alla finestra, nel senso che, essendo un accordo-quadro, seguiremo con attenzione ogni ulteriore sviluppo e calibreremo il nostro operato man mano che si va avanti. Quel che è certo è che ogni nostra struttura risente della vecchia situazione e quindi dovrà affrontare dei cambiamenti. Le agenzie formative avranno tutte un’articolazione diversa, così come sarà differente l’approccio: l’utente verrà formato nel settore in cui ci siano reali esigenze, e non avverrà più una formazione a priori come nel recente passato. Ciò sarà utile in primis al lavoratore, che potrà stare al passo con l’offerta di impiego ed essere competitivo. In tal modo si potrà incidere in modo positivo anche sulla media attuale di disoccupazione, che è dell’8,5% ma che si alza di molto in alcune regioni e per le donne, e tiene l’Italia ben lontana dagli obiettivi di occupabilità stabiliti a Lisbona.
Vita: In questo senso che ruolo gioca oggi la formazione?
Di Matteo: Anche in tempi di crisi può assicurare un maggior raccordo tra domanda e offerta. E deve sfruttare ogni occasione utile. Un esempio: accade che le risorse che le Regioni investono direttamente nei corsi di formazione professionale non siano sufficienti, mentre rimangano non spesi fondi più specificatamente legati alla formazione aziendale, in cui c’è sia il coinvolgimento dell’imprenditore che dell’ente formativo. Ecco, noi dobbiamo muoverci in questa direzione, facendo nascere partenariati soprattutto con le piccole e medie imprese, che non hanno una struttura di formazione all’interno. Le agenzie possono giocare un ruolo ancora più importante mettendosi in rete fra loro, come accade per noi da qualche tempo sia in Italia, soprattutto con gli altri enti cattolici, che in Europa, dove siamo membri dell’Eza, organizzazione che raccoglie 50 esperienze diverse.
Vita: A che punto è l’Italia rispetto alla media europea?
Di Matteo: Nonostante alcune iniziative positive, siamo ancora in ritardo. Attualmente nel mondo della formazione professionale italiana persistono alcune rigidità che si ritrovano anche nel mondo del lavoro. Oggi, invece, la realtà è ben diversa, c’è da gestire la flessibilità. Per questo è necessaria un’inversione di tendenza: si garantiscano tutte le tutele per i lavoratori, ma si crei anche una formazione dinamica, moderna, con determinati obiettivi strettamente legati a una maggiore occupabilità. L’accordo quadro è un primo fondamentale passo in questa direzione.
Daniele Biella


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