Nonostante siamo immersi nella più devastante crisi economica dalla fine della seconda guerra mondiale, la spesa pubblica annua globale per gli armamenti è calcolata in oltre 1.700 miliardi di dollari (in pratica tutti gli Stati spendono ogni giorno in armi più del doppio del bilancio delle Nazioni Unite di un intero anno) e, contemporaneamente, il volume di affari del commercio “legale” delle armi si avvicina ai 500 miliardi di dollari all’anno. Non si è mai speso tanto in strumenti di guerra in tutta la storia dell’umanità. Per capire le dimensioni di queste cifre è utile sapere che l’ONU calcola che con meno di 24 miliardi di dollari all’anno si garantirebbe la scolarizzazione per tutti i bambini del pianeta, uno di quegli obiettivi del millennio all’improbabile raggiungimento dei quali mancano meno di 1.000 giorni.
In questo scenario , e dopo anni di pressione internazionale dal basso da parte dei movimenti e delle campagne civili, il 2 aprile l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato il Trattato sul commercio delle armi, con 154 voti favorevoli, 23 astenuti e 3 contrari: Corea del Nord, Iran e Siria. Questo Trattato (come sempre avviene in questi casi) può esser visto come un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Mezzo pieno, perché si passa dalla sostanziale deregulation – nella quale produttori ed esportatori hanno fatto il bello ed il cattivo tempo, trafficando armi senza alcun limite ed alimentando guerre in tutte le regioni del mondo – ad una prima regolamentazione, che prevede standard internazionali legati al rispetto dei diritti umani, contro la quale non a caso si sta battendo fortemente la potente lobby internazionale delle armi, con a capo la statunitense National Rifle Association. Mezzo vuoto, perché il Trattato riguarda solo i principali sistemi d’arma convenzionali, ma prevede, come ricorda l’Archivio Disarmo, “limitate forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano fuori sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare e tutte le armi elettroniche, radar, satelliti ecc., sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militare”; inoltre, come mette a fuoco criticamente Manlio Dinucci su il manifesto, “esso non sarà vincolante ma costituirà una sorta di codice di comportamento cui i governi dovrebbero attenersi”. A questo punto il Trattato, per diventare operativo, deve comunque essere approvato da almeno 50 Paesi. Dunque l’impegno dei movimenti che ha consentito questo parziale risultato non può fermarsi qui, ma è necessario continuare a lavorare fin da subito anche nel nostro Paese affinché, come dice la Rete Italiana Disarmo “questo sia solo il primo passo di un cammino ancora più forte di regolamentazione degli armamenti e poter annoverare l’Italia tra i primi paesi ratificanti”. Con la necessaria consapevolezza, aggiungiamo, che l’orizzonte verso il quale muoversi non è certo la sola regolamentazione, ma il completo disarmo, convenzionale e nucleare.
Se qualcuno avesse avuto dei dubbi in proposito, ci ha pensato in ultimo la Corea del Nord a levarli la quale – giusto il giorno successivo a questa votazione all’Assemblea ONU – ha fatto sapere che la risposta alle manovre militari congiunte di USA e Corea del Sud ai suoi confini sarà il lancio di missili nucleari contro gli obiettivi statunitensi raggiungibili. Pura follia, stigmatizzata da tutti – anche dal vecchio Fidel Castro storico alleato dell’ultimo paese stalinista del mondo – che porterebbe a conseguenze catastrofiche per tutta l’area e non solo. Ma pura follia è ancor di più la presenza attuale sul pianeta – a quasi 25 anni dalla caduta del muro di Berlino – di oltre 17.000 testate nucleari, di cui più della metà negli arsenali di USA e Russia, e le rimanenti distribuite tra quelli di Francia, Cina, Regno Unito, Israele, Pakistan, India e, fanalino di coda, appunto, la Corea del Nord, con una decina di testate. In questo club esclusivo non si capisce chi sia il più folle se, come ricorda Anna Franchin su Internazionale “gli Stati Uniti hanno fatto più test nucleari di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme e sono gli unici ad aver realmente fatto esplodere delle bombe atomiche in guerra, quelle su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto del 1945. Sono anche i soli ad avere a disposizione armi atomiche nelle loro basi all’estero, grazie al programma di condivisione nucleare della Nato”. Ossia in Belgio, Germania, Paesi Bassi, Turchia e Italia.
Dunque siamo tutti seduti su una polveriera pronta ad esplodere, con micce sempre accese, e in una bolla di totale rimozione del pericolo dalle coscienze. Insomma, c’è bisogno di disarmo militare e culturale, convenzionale e nucleare. Urgente
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