C’è ancora voglia di accoglienza, almeno questo è quello che abbiamo registrato a CIAI durante i mesi di quarantena.
Nel tempo in cui le adozioni si sono congelate a causa del lockdown per la pandemia, con famiglie bloccate nei Paesi assieme ai figli appena incontrati e con pratiche sospese per l’impossibilità di svolgere gli accertamenti che necessitano spostamenti e relazioni, sono aumentate (rispetto allo scorso anno) le coppie che si sono rivolte a noi per avere informazioni sull’adozione, fare gli incontri di gruppo, conferire il mandato per seguire la pratica adottiva.
Un fatto positivo, che ci ha sorpreso e incoraggiato nel riorganizzare le modalità per essere sempre più vicini alle famiglie.
Un segno che, nonostante la pandemia, l’incertezza per il futuro, le preoccupazioni per una recessione che si annuncia in tutta la sua gravità, c’è ancora voglia di genitorialità e di solidarietà, di rendersi disponibili ad accogliere un bambino che già c’è e che ha bisogno di una famiglia.
Nonostante la chiusura delle frontiere ed i venti di razzismo che continuano a soffiare, c’è il desiderio di adottare un piccolo che viene da lontano. C’è disponibilità a mettere le proprie energie e le proprie risorse a disposizione di bambini anche grandicelli, già molto provati dalla vita, spesso con problemi di salute, come ci racconta il recente dossier statistico della adozioni internazionali pubblicato dalla CAI secondo cui l’età media dei bambini adottati nell’ultimo anno è maggiore di 6 anni e sono più del 60% i bambini con “bisogni speciali”.
Forse la sosta obbligata ha concesso più tempo per pensare ai desideri personali, forse la pandemia ha obbligato a rivedere le priorità, i valori, il segno che vogliamo lasciare in questo mondo e questo ha portato ad approfondire la scelta di accoglienza.
Forse è un modo per reagire all’incertezza, una sfida al clima di morte che abbiamo respirato, la volontà di resistere al destino e di rispondere con la vitalità dell’accoglienza alla chiusura e all’isolamento.
Qualunque sia il motivo, trovo che la voglia di accoglienza, in particolare quella accoglienza cosi “aperta” al mondo e alle differenze che caratterizza l’adozione internazionale, sia un bellissimo segnale, che deve essere valorizzato e sostenuto.
Perché il rischio che la disponibilità ed il desiderio di accoglienza di queste famiglie sia messo a dura prova dalla realtà che ci aspetta è concreto.
Portare a termine le pratiche di un’adozione internazionale nei prossimi tempi avrà incertezze e ulteriori complicazioni a causa della pandemia che sta colpendo anche i Paesi da cui provengono i bambini. Dal punto di vista economico poi è molto probabile (pensiamo solo a quanto sono aumentati i costi dei voli) che il percorso sia ancora più impegnativo di prima.
Dobbiamo fare il possibile per sostenere la disponibilità di accoglienza delle famiglie italiane, in modo da dare la migliore risposta possibile ai bambini in attesa di una famiglia che sono nei diversi Paesi, adesso ancora più di prima in condizioni di estrema vulnerabilità.
Per questo è indispensabile che enti e servizi territoriali rimangano vicini alle famiglie garantendo informazione, formazione, accompagnamento specializzati e professionali nel lungo ed incerto periodo dell’attesa, con tutti i mezzi che la tecnologia ci mette a disposizione per far fronte alla necessità di distanziamento imposto dal rischio di contagio.
Allo stesso tempo è importante che la Commissione Adozioni individui dei sostegni economici per aiutare concretamente le famiglie e valorizzare il loro desiderio di genitorialità e la disponibilità di accoglienza.
Una società aperta, solidale, che sa valorizzare le diversità come quella che le famiglie adottive costruiscono è un bene per tutta la nostra comunità e una ricchezza per l’intero Paese.
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