Come forse sapranno molti dei lettori di questo Blog, nel cuore dell’Africa Subsahariana imperversa dalla fine degli anni Ottanta, il famigerato Joseph Kony. Si tratta di un pazzo visionario che, assieme ai suoi seguaci dell’Esercito di Resistenza del Signore (Lra), semina incontrastato morte e distruzione: prima nei territori settentrionali dell’Uganda, poi nel Sudan meridionale e attualmente nel settore nordorientale della Repubblica Democratica del Congo, con sconfinamenti anche nella vicina Repubblica Centrafricana. Fa dunque piacere sapere che oggi, grazie ai social networks, i crimini perpetrati dal capo degli “Olum” (“erba” in lingua acholi, così vengono comunemente chiamati dalla gente i suoi combattenti) sono tornati alla ribalta internazionale, suscitando notevole sgomento e indignazione. Ad esempio, andando in rete, su Twitter, la parola “Kony” risulta una delle più citate dagli utenti, mentre il video “Kony 2012” di YouTube è stato visto in pochi giorni da oltre 70 milioni di persone. A scatenare l’attenzione del Web, il video appello per l’arresto di Kony, condannato per crimini contro l’umanità e rapimento di minori dalla Corte penale internazionale. La campagna lanciata da “Invisible children”, una Ong di San Diego, negli Stati Uniti, ha visto il sostegno su Twitter anche di Rihanna e George Clooney che hanno twittato essi stessi l’ashtag “Kony 2012”. Qualcuno potrebbe pensare, come peraltro già scritto da qualche parte, che quello che per decenni non è riuscita fare la comunità internazionale e l’intero comparto massmediale, l’hanno ottenuto, in meno di una settimana, gli internauti della rete, molti dei quali giovanissimi, invocando giustizia nei confronti di un personaggio che ha la responsabilità di aver rapito oltre 30mila bambini costringendoli a compiere ogni genere di nefandezze. Chi scrive, ha incontrato in un paio di circostanze questi “soldatini di piombo” nella savana, nei distretti nord ugandesi di Kitgum, Gulu e Pader. Difficile raccontare con le parole un qualcosa anni luce distante dal pubblico immaginario. La tecnica di reclutamento è agghiacciante: gli olum entrano nei villaggi – oggi soprattutto congolesi – uccidono gli adulti, sequestrando invece i bambini, i quali, in un brevissimo lasso di tempo, si trasformano in feroci combattenti avvezzi all’arma bianca e all’uso disinvolto del kalashnikov. Attraverso un rito iniziatico, fatto di suggestioni e ipnosi collettiva, il cosiddetto “Wiro ki moo”, migliaia di giovani reclute hanno consentito per anni a Kony di avere il controllo di vastissimi territori dell’Africa Centrale. Mentre scriviamo, sono circa 3mila le persone fuggite dalle loro abitazioni nella zona nordorientale dell’ex Zaire, a causa di numerosi attacchi messi a segno dallo Lra. Secondo fonti missionarie locali, gli olum, dall’inizio dell’anno, hanno messo a segno una ventina di attacchi, con un numero imprecisato tra morti, feriti e giovani sequestrati. Viene spontaneo chiedersi a questo punto come mai, ancora oggi, Kony e i suoi seguaci siano a piede libero. La risposta è una sola e ben nota nei circoli diplomatici. Finora è mancata la volontà politica. Da una parte, lo spettro di Kony continua ad aleggiare sulle popolazioni del Nord Uganda; e ciò fa il gioco del presidente ugandese Yoweri Museveni, che considera le popolazioni locali, soprattutto acholi, ostili alla propria leadership. Dall’altra, Khartoum potrebbe sempre assoldare, come già avvenuto in passato, gli olum nel caso il processo di pacificazione nel Sud Sudan dovesse fallire. Cosa che per certi versi sta già avvenendo. In Congo, intanto, la povera gente continua a subire vessazioni d’ogni genere, dimenticata da tutto e da tutti. A meno che Twitter e YouTube non riescano davvero a scuotere le coscienze su scala planetaria.
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