Cultura
Cattolici e G8: la polemica continua
Anticipazione dell'editoriale di Giuseppe Frangi di Vita non profit magazine in edicola venerdi: "Ma la Chiesa non ha scoperto oggi l'imperialismo del denaro"
Ha avuto ragione la Chiesa, o una parte di essa, a scendere in campo per dire la sua contro il modello vincente di globalizzazione, oppure, come ha scritto Angelo Panebianco sulla prima pagina del Corriere della Sera, scendendo in campo ha commesso un grande errore? Secondo l?editorialista, appoggiando le forze anti-occidentali avrebbe finito con il legittimarle, accorgendosi poi dell?abbaglio solo davanti alla deriva violenta delle giornate genovesi. In realtà non si sarebbe trattato di un errore tattico, ma di una colpa di lesa maestà: infatti, ha scritto Panebianco, la Chiesa non sbaglia nel difendere i poveri, sbaglia a contrapporsi all?Occidente. Solo continuando a “essere solidale con esso”, seppur con libertà di polemica, la Chiesa può ottenere qualcosa di costruttivo per i più poveri.
Lo schema, dal punto di vista di Panebianco, non fa una grinza. Ma dal punto di vista della Chiesa? Qualche dubbio è lecito avanzarlo, anche se la risposta spetta non a noi ma a chi ne custodisce il deposito di fede e di tradizione. Noi, semplici cronisti, mossi dalla curiosità e guidati da spezzoni di memoria, ci siamo limitati a riaprire alcune pagine…che hanno fatto la storia recente della Chiesa. Quel che abbiamo scoperto ve lo proponiamo di seguito senza commenti (con una sola licenza: quella di dichiarare il nostro stupore davanti all?intelligenza e la profondità di giudizio storico mostrato in questi brani).
«Nell?ordine delle relazioni internazionali da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l?imperialismo economico; dall?altra non meno funesto ed esecrabile, l?internazionalismo bancario imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove c?è guadagno» (papa Pio XI, enciclica Quadragesimo anno, 1931).
«La tecnocrazia di domani può essere fonte di mali non meno terribili del liberalismo di ieri»; «ostinandosi i ricchi nella propria avarizia, non potranno che suscitare il giudizio di Dio e la collera dei poveri con conseguenze imprevedibili»; «i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell?opulenza. La Chiesa trasale davanti a questo grido di angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello»; «la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che spera il suo bisogno quando altri mancano del necessario»; «il bene comune esige dunque talvolta l?espropriazione se, per via della lor estensione del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria per le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del Paese, certi possedimenti sono ostacolo alla prosperità collettiva». (Paolo VI, enciclica Populorum progressio, 1967).
P.S.: Anche allora l’accoglienza alla posizione della Chiesa non fu benevola. Il settimanale Epoca titolò “Populorum progressio, Ecclesiae regressio”; e il Wall street journal la liquidò come “marxismo riscaldato”. E a chi, oggi come ieri, interpreta quell’enciclica come un pedaggio pagato ai sociologismi terzomondisti, aveva già risposto Paolo VI, citando, nel paragafo 23 di quella sua stessa enciclica, come ispiratore niente meno che Sant’Ambrogio. «”Non è del tuo avere”, afferma sant’Ambrogio, “che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti ciò che tu ti annetti. La terra è data a tutti e non solamente ai ricchi”». Che ne dice Panebianco?
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