Economia
Castelli: «Sull’economia sociale l’Italia deve cambiare marcia»
Dialogo con la viceministra dell'Economia e delle Finanze. Le priorità? «Definire il perimetro dell'economia sociale a livello europeo, un perimetro più largo di quello che oggi consideriamo Terzo settore e condividere indicatori pubblici di contabilità sociale». Il pacchetto fiscale della Riforma del Terzo settore? «Non è stato inviato a Bruxelles perché non è ancora un testo condiviso, occorre lavorarci». Il pacchetto Italia economia sociale del Mise? «Così non funziona, dobbiamo rivederlo». L'intervista
di Redazione
Viceministra dell’Economia e delle Finanze, la grillina Laura Castelli dall’insediamento del Governo Draghi è responsabile delle delega sull’economia sociale. Una delega sotto cui si sono puntati i riflettori dopo il via libera della commissione europea all’action plan sull’economia sociale. Il prossimo 17 febbraio Castelli parteciperà a Strasburgo, su convocazione della presidenza francese, al primo summit in ambito Ue dei ministri con delega all’economia sociale. Un segnale che la scommessa di Bruxelles (e di Parigi) sull’economia sociale è convinta.
In questo dialogo con Vita, Castelli mette in chiaro alcuni punti, prendendo per la prima volta esplicitamente posizioni discutibili, ma senz'altro molto indicative rispetto alla sua visione sulla finanza ad impatto e l’economia sociale. Fra questi la sua contrarietà al pacchetto fiscale della riforma del Terzo settore che ormai da anni il nostro Governo tiene chiuso in un cassetto, senza inviarlo a Bruxelles per il definitivo via libera al nuovo trattamento fiscale di imprese sociali ed enti del Terzo settore previsti dalla riforma del 2017.
Partiamo dal principio: la delega sull’economia sociale le è stata assegnata o l’ha chiesta lei a Draghi?
L’ho fortemente voluta, perché considero strategica questa realtà per l’intero sistema economico del nostro Paese e di tutta Europa. Il fatto che fino a pochi mesi fa non esistesse una delega esplicita all’interno del Ministero dell’Economia spiega alcuni ritardi e incongruenze del nostro sistema di sostegno economico al Terzo settore ed a tutte le realtà che operano nell’ambito, più ampio, dell’economia sociale. Ci sono fondi che non funzionano e che sono stati pensati in altri ministeri, come del resto il pacchetto fiscale della riforma del Terzo settore è stato scritto al ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che ha altre competenze. Con il risultato di rallentare il sistema che non riesce a supportare proprio i soggetti dell’economia sociale. Avere la delega al Mef vuol dire andare nella direzione intrapresa dall’Europa anche con il recentissimo Action Plan.
Non è che in quasi un anno di governo Draghi, l’Italia però abbia brillato per iniziative sul fronte dell’economia sociale…
Non credo sia così. Abbiamo operato in piena emergenza da pandemia, assicurandoci che a tutti i codici Ateco dell’economia sociale arrivassero i fondi previsti. Un impegno non da poco. Inoltre abbiamo aperto un dialogo sia a livello italiano, partendo dal protocollo attivato con il Cnel, sia a livello europeo. Con Francia e Spagna, ad esempio, abbiamo delineato un percorso che nel prossimo semestre di presidenza francese avrà obiettivi molto ambiziosi.
Per esempio?
Tra gli obiettivi c’è quello di definire l’economia sociale un’economia a lucro minore, per la quale è possibile dunque costruire strumenti di finanziamento diversi da quelli dell’economia tradizionale, che quindi ha indicatori finanziari diversi. Per questa materia, stiamo pensando di costruire un regime fiscale unico in Europa. Poi ci sono gli indicatori di contabilità sociale a cui tengo moltissimo. Ne ho già parlato con il commissario Schmit. Oggi gli Esg sono misurati attraverso indicatori che nascono in contesti privati. Applicando anche all’economia sociale indicatori di matrice pubblica, così come avviene per la contabilità ordinaria, potremmo rendere i report di sostenibilità ancora più trasparenti e maggiormente confrontabili.
Nell’ultima legge di bilancio avete previsto la nascita del conto satellite e di un fondo per l’economia sociale. Di cosa si tratta?
Dal lato tecnico ritengo un grave vulnus che i dati più recenti sull’economia sociale risalgano al 2017. Uno dei principali obietti dell’Action Plan europeo è la mappatura dell’economia sociale. Il conto satellite, che ho fortemente voluto, è uno dei principali strumenti per farla. Abbiamo coinvolto l’Istat, ne ho già parlato con il Presidente che ha assicurato massima disponibilità. Considerato che saremo i primi in Europa, il Commissario Scmith mi ha chiesto di illustrare come funzionerà per renderlo un modello replicabile.
Quanto al Fondo?
Per il momento sono 1,5 milioni di euro all’anno per due anni. Risorse necessarie per avviare il conto satellite e la fase di mappatura. Il risultato più importante è rappresentato dal fatto di averlo costituito questo Fondo. Ora ci serve per sviluppare uno dei punti dell’Action Plan, e mano mano, possiamo svilupparne altri di competenza del Mef.
Niente quindi per lo sviluppo e il sostegno al settore?
Sostegno e sviluppo passano dal chiarire il quadro di riferimento. La mappatura consentirà di farlo.
Nella sua testa qual è il perimetro dell’economia sociale?
Quello europeo, che è molto più ampio del solo Terzo settore e dell’impresa sociale. Dobbiamo partire dalle caratteristiche e dai principi fondamentali contenuti nell’Action Plan per riclassificare, anche in Italia, un mondo che comprende soggetti con modelli organizzativi ed imprenditoriali diversi. Non può essere più solo una questione di ”nome”.
In vero la riforma del Terzo settore andava proprio in questa direzione, riformando per esempio l’istituto dell’impresa sociale…
Sulla parte fiscale della riforma ho delle perplessità. Riprenderemo questo lavoro a breve.
Il ministro Orlando però aveva previsto che il pacchetto fiscale della riforma del Terzo settore sarebbe stato inviato a Bruxelles entro la fine del 2021. Così non è stato. Il Governo quando lo invierà?
Quando si invia un fascicolo all’attenzione della Commissione Europea è fondamentale che ci sia il massimo accordo e la massima convergenza di tutti gli interessati a livello nazionale. Non tutti sono d’accordo in Italia, anche nel mondo del Terzo settore. Credo che ci sia la necessità di un ulteriore confronto.
Qual è la strada alternativa?
Non bisogna ragionare per ghetti. Io per esempio credo che gli indicatori di contabilità sociale vadano applicati, insieme agli indicatori ordinari, nel giudizio di merito creditizio non solo per i soggetti dell’economia sociale, ma per tutti i soggetti economici. Ci sono dei cambiamenti che giovano a tutto il sistema economico.
Cosa ne pensa della proposta di introdurre un fondo di garanzia per i soggetti dell’economia sociale?
Ci sarebbe già: oltre 200 milioni di euro che gestisce il Mise. Ma è un fondo che così non funziona. Stiamo provando a migliorarlo, anche perché il problema di molti di questi soggetti non è tanto avere garanzie, quanto avere il capitale iniziale da investire.
Come patrimonializzare i soggetti dell’economia sociale allora?
Serve un approccio di sistema, l’espansione erga omnes degli indicatori sociali è una chiave decisiva. E dobbiamo coinvolgere maggiormente il sistema finanziario, che da sempre attende di poter entrare nel mondo della social economy. Ma per farlo è necessario delineare un perimetro normativo che non determini squilibri e che sia capace di sostenere queste realtà. Altri strumenti, che tra l’altro piacciono in Europa e piacciono molto anche a me, sono i social bond e i social impact bond. La finanza d’impatto è il presente, lo abbiamo visto con il PNRR, e rappresenta il futuro.
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