Immigrazione
Caso Salvini, verità e giustizia sugli obblighi di sbarco dei naufraghi
«La violenta campagna di disinformazione esplosa dopo la requisitoria della Procura di Palermo nel processo “Open Arms” nei confronti di Matteo Salvini, ha raggiunto livelli tali da tradursi in una pesante intimidazione nei confronti dell’intera magistratura. La scelta del porto di sbarco non è un atto politico, ma un atto amministrativo vincolato». L’intervento di Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato ed esperto di diritti umani
Nell’agosto del 2019 Matteo Salvini era ministro dell’Interno. Allora impedì, per 19 giorni, alla nave umanitaria Open Arms, su cui si trovavano 147 migranti soccorsi, di attraccare in un porto italiano. Dal 2021 Salvini è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio. Sabato 14 settembre la procura di Palermo ha chiesto per lui una condanna a sei anni di carcere. Da quel momento è esplosa una violenta campagna di disinformazione che ha raggiunto livelli tali da tradursi in una pesante intimidazione nei confronti dell’intera magistratura, in vista della sentenza di primo grado che dovrebbe arrivare in autunno. Occorre dunque uno sforzo di memoria per valutare le richieste della Procura di Palermo in base alle precedenti applicazioni giurisprudenziali ed al principio di legalità, baluardo dello Stato di diritto, e non secondo il consenso elettorale vantato dalle parti politiche più direttamente coinvolte.
Viene prima la legge della politica
Innanzitutto dobbiamo ricordare che con la sentenza n. 81 del 2012, la Corte costituzionale ha stabilito che “Gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di Governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate”. E Corte di cassazione (Sez. un. ord. 22 settembre 2023 n. 27177) individuava in modo inequivocabile, la portata ed i limiti della nozione di “atto politico” sottratto al controllo degli organi giurisdizionali. Secondo la Corte: “La chiave di volta ai fini del giudizio di insindacabilità di un atto del potere pubblico è costituita, in generale, dalla mancanza di specifici parametri giuridici protesi a riconoscere posizioni di vantaggio meritevoli di protezione”. Viene in rilievo, infatti, l’art. 101 Cost., comma 2, il quale, nel fissare il principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, individua nella legge il fondamento e la misura del sindacato ad opera del giudice.
Perché il caso Open Arms non è paragonabile ai casi Diciotti e Gregoretti
Matteo Salvini, da Ministro degli Interni, aveva già vietato o ritardato lo sbarco dei naufraghi in altri due casi: il caso Diciotti (agosto 2018) e il caso Gregoretti (luglio 2019). Questi due casi però non sono paragonabili a quello che è accaduto nel caso Open Arms, verificatosi – ricordiamolo – nel mese di agosto del 2019, proprio negli stessi giorni in cui il Parlamento convertiva in legge il Decreto sicurezza bis n.53 del 14 giugno 2019.
Il decreto dava al Ministro dell’Interno il potere di vietare discrezionalmente l’ingresso nelle acque territoriali – dopo le attività di ricerca e soccorso (Sar) in acque internazionali – a tutte le navi soccorritrici, “salvo che si tratti di naviglio militare”. Quindi i casi Diciotti e Gregoretti, essendo navi militari, non hanno punti in comune con il caso della mancata assegnazione del porto di sbarco sicuro – Pos, alla nave del soccorso civile Open Arms nell’agosto di quello stesso anno. Poi nel caso Gregoretti, per il trattenimento a bordo della nave dal 27 al 31 luglio 2019, il Gup (giudice dell’udienza preliminare) di Catania archiviava le accuse nei confronti del senatore Salvini, perché risultava agli atti che le decisioni prese dal Ministro dell’Interno non erano avvenute in completa autonomia, come nel caso Open Arms, e che il Governo si coordinava con il Viminale, durante le trattative per la redistribuzione con altri Paesi Ue, tanto che, a piccoli gruppi i migranti venivano fatti sbarcare. Come invece non si verificò nel caso Open Arms, quando, a parte le evacuazioni mediche (Medevac) ed i minori non accompagnati sbarcati tardivamente, dopo l’intervento del Tribunale dei minori di Palermo, gli adulti poterono toccare terra a Lampedusa, solo a seguito del sequestro preventivo d’urgenza della nave e dell’ordine di sbarco impartito dalla Procura di Agrigento il 20 agosto 2019. Dopo che il Ministro dell’Interno aveva tentato di reiterare in totale solitudine, e senza esito, il precedente divieto di ingresso sospeso dal Tribunale amministrativo del Lazio il precedente 14 agosto.
Gli ingressi per ragioni di soccorso
Attenzione: è vero che il decreto sicurezza bis del 2019 (in vigore all’epoca dei fatti di Open Arms) dava al ministro Salvini la possibilità di vietare l’ingresso in acque territoriali dopo aver effettuato un salvataggio, ma non dava al ministro il potere di negare un porto di sbarco una volta che la nave si trovava già in acque territoriali. La Procura di Palermo nella sua requisitoria non ha “attaccato” dunque il Decreto sicurezza bis del 2019, ma lo ha soltanto citato per farne valere la corretta applicazione, in conformità con le norme di diritto sovranazionale (e quindi costituzionali, in base all’art.117 Cost.), che non consentono di qualificare come “non inoffensivo” l’ingresso per lo sbarco di naufraghi, salvo prove di un reale pericolo per la sicurezza pubblica. Certo la presenza di terroristi a bordo della Open Arms non è stata mai provata, neppure come mera probabilità, ed i naufraghi non potevano essere considerati come “clandestini”, prima di fare ingresso nel territorio nazionale. E neanche dopo, in base alla distinzione imposta dall’art.10 ter del Testo unico 286/98 che distingue dagli ingressi irregolari l’ingresso “per ragioni di soccorso”. Semmai, se si riuscisse a delimitare con un minimo di onestà il quadro normativo vigente al tempo del caso Open Arms, e dunque l’unico rilevante per i giudici di Palermo, bisognerebbe aggiungere che il successivo Decreto legge “Lamorgese” (21 ottobre 2020, n. 130) cancellava del tutto il potere del ministro di vietare alle navi civili, che avevano operato attività di soccorso, l’ingresso nelle acque territoriali. Per questa ragione, nessun paragone è possibile tra il caso Open Arms e i successivi casi di ritardo, anche prolungato, nell’assegnazione del porto di sbarco, durante la gestione dell’ex ministro dell’interno Lamorgese. I residui divieti di transito e sosta nelle acque territoriali, che continuano ad escludere il naviglio militare, non possono essere applicati dopo operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera come è provato che si verificò nel 2019, nel caso Open Arms, e come continua a verificarsi ancora oggi, nel caso degli interventi di soccorso in acque internazionali. Perché neppure il Decreto Piantedosi (legge n.15/2023), criticabile sotto molti punti di vista, ha restituito al Ministro dell’Interno il potere di interdire l’ingresso nelle acque territoriali alle navi civili che hanno operato attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali. Come è dimostrato dal nuovo fronte che si è aperto con la politica dei porti lontani e con i fermi amministrativi, che la giurisprudenza civile sospende nella maggior parte dei casi, proprio sulla base del carattere doveroso delle attività di ricerca e salvataggio e della legittimità dell’operato delle organizzazioni non governative alla luce della stessa normativa internazionale che viene in rilievo nel caso Open Arms. Quando parliamo di soccorsi in mare le norme internazionali prevalgono su quelle interne. In ogni caso la sentenza di Cassazione n.6626/2020 (Caso Carola Rackete) è chiara: l’attività di salvataggio non si esaurisce con il recupero a bordo della nave, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcare i naufraghi in un porto di sbarco sicuro (Pos).
AP Photo/Petros Karadjias
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