Politica

Caso Rom, lettera aperta di don Mimmo Battaglia

Il presidente della Fict: «La schedatura rompe il dialogo»

di Redazione

Scrivo con profondo rammarico e con un senso di fastidio. Fastidio che nasce dal mio essere prete, dal mio essere cittadino, ma prima di tutto uomo. Fastidio per la proposta del Ministro Maroni di schedare dei bambini pur nell’intento di risolvere un problema, e un fastidio altrettanto grande per le voci contrastanti che attorno a questa proposta si sono levate. Fastidio per la spaccatura interna al mondo cattolico e per il silenzio rassegnato o indifferente di tanta parte del mondo del sociale. Fastidio, rabbia ed incredulità: possibile che anche chi dice di voler difendere la dignità di ogni essere umano si senta tuttavia disposto ad una procedura umiliante come quella di cui parliamo? Possibile che non si intraveda una strada differente?
Sono preoccupato, come molti, dei rischi di disagio, di devianza a cui molti minori, non solo rom, vanno incontro. Sono testimone diretto dei pericoli della criminalità sul nostro territorio: le comunità terapeutiche, giorno dopo giorno, fanno i conti con il lato oscuro delle nostre strade. Ogni forma di disagio sociale, anche il famigerato problema dei rom, se così fa comodo etichettarlo, si presenta quotidianamente alla porta delle nostre strutture e l’attraversa. Per questo sento di poter rigettare le accuse di ignoranza rivolte dal Ministro a quanti sono in contrasto con la sua proposta. Sono ben lontano da ignorare il problema e vivo l’urgenza di affrontarlo. Ma voglio che si faccia nel rispetto dei diritti e della dignità d’ogni persona, con l’esigenza che dovrebbe caratterizzare ogni cristiano ed ogni laico attento all’Altro. Pertanto non possiamo rassegnarci all’idea che per difendere i bambini si trovi l’escamotage della schedatura. Non possiamo pensare ad altro? O forse non vogliamo pensare ad altro, perché l’idea di un nemico da controllare è comoda ed utile. Forse necessaria, perchè la paura resti alta e il termine “sicurezza” mantenga il suo valore dogmatico: ma le parole assumono un significato totalmente diverso se pronunciate in luoghi e contesti differenti: sicurezza, diritti, legalità, giustizia, radici cristiane… significano cose diversissime se pronunciate nelle nostre aule istituzionali, nei nostri salotti, sui giornali o piuttosto nel silenzio, nel buio e nel gelo di una notte in una roulotte, se pronunciati da sazi o con lo stomaco vuoto, da liberi o da perseguitati. Perché le parole diventano l’arma di difesa di una democrazia in panne, diventano arma per tenere fuori le difficoltà e le differenze, diventano mura e “palle di cannone” per affondare i gommoni! Queste parole perdono la loro dignità per divenire offese. Le stesse parole a cui oggi, in questi mesi, tanti di noi, stanno cercando di dare un senso diverso, più profondo, più reale. Più umano. E allora perché non riscrivere una legge che difenda i piccoli rom, se è realmente questo ciò che si vuole, partendo da un tavolo di lavoro con i rappresentanti di questo mondo variegato? Perché, se è vero che siamo tutti uguali, non si dà loro voce? Solo così potremmo pensare ad una forma di intervento realmente attenta e propositiva e non, al contrario, ad una sorta di controllo sul diverso.
La strada ci insegna che l’umanità ha bisogno di Umanità. Che la nostra democrazia imperfetta ha bisogno del nostro prenderci cura, per essere differente dai regimi che diciamo di combattere. Perché non è il PIL a segnare le differenze tra un paese libero e democratico ed un inferno, ma la disponibilità a dare parola in una logica di reciprocità. Perché non è con le schedature che si insegna la democrazia ma con l’accoglienza, con un’accoglienza reale che si fa integrazione in ogni aspetto della vita sociale e politica. Perché non c’è uguaglianza, non c’è democrazia, se le leggi sui rom si scrivono senza i rom, se le politiche arrivano dall’alto, dalla supponenza e dalle false sicurezze piuttosto che da un ascolto reale e quotidiano.
È quindi il momento di mettere da parte le nostre sicurezze demagogiche e la tentazione della prova di forza se vogliamo capire come agire, per fare in modo che ogni cittadino sul nostro territorio, ogni uomo, torni ad essere Uomo pienamente e, allo stesso tempo, dimostrare a noi stessi ed al mondo che vogliamo continuare ad essere chiamati uomini anche noi.
L’impronta indelebile del dialogo tra diversi è l’unica impronta di cui abbiamo bisogno.

Mimmo Battaglia
Presidente della Federazione Italiana
delle Comunità Terapeutiche

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