Economia

Caso Forlì: prima della classe non solo in quantità.

Le coop sociali hanno un grande impatto sul territorio. In termini di risparmio economico e rispetto delle persone. E non scadono nell’assistenzialismo.

di Redazione

Il movimento cooperativo, una rete di imprese sociali (cooperative tradizionali e sociali) che annovera il 2,4% delle imprese italiane, è fortemente radicato in Emilia Romagna, territorio che non a caso registra l?incidenza più alta di occupati nelle cooperative rispetto al totale degli occupati (esclusa l?agricoltura e le cooperative sociali) e in cui si concentra, in termini assoluti, il maggior numero di occupati nelle imprese cooperative di tutto il Paese (pari a 144.480 unità). Nello specifico, la provincia di Forlì-Cesena, con la presenza di 551 cooperative iscritte alle centrali cooperative (secondo il primo rapporto Unioncamere riferito al 2002), 138.845 soci e 22.521 occupati, tutti dati in costante e significativa crescita dal 1991 al 2002, si colloca al quarto posto in Italia in riferimento alla densità delle cooperative rispetto alla popolazione, con 39,3 occupati in imprese cooperative ogni mille abitanti. La presenza, su un territorio, di imprese cooperative che ottengono buone performance economico- finanziarie e che realizzano fatturati rilevanti rispetto a quanto prodotto dalle imprese for profit, permette di assommare alla valutazione positiva sulla intrinseca socialità che ogni attività imprenditoriale comporta, quando svolta ?bene?, un ulteriore impatto positivo sul benessere dei cittadini e sullo sviluppo del territorio. A questo riguardo, la modalità di azione delle imprese sociali nella sfera economica e sul territorio consente e richiede l?affiancamento di indicatori qualitativi di impatto sociale ai tradizionali parametri economico- quantitativi. La cooperazione tout court, non considerando quella sociale, secondo l?Istat ha registrato in provincia una crescita del 4,6% rispetto al 1991. Il movimento cooperativo della provincia si colloca in un tessuto imprenditoriale e sociale solido e ben sviluppato – e sarebbe dunque interessante cercare di cogliere la biunivocità della relazione tra cooperazione e contesto sociale di riferimento. La provincia di Forlì Cesena conta 111,2 imprese ogni mille abitanti (dato superiore a quello regionale, pari a 103,0 e a quello nazionale, pari a 87,2); registra una delle più basse incidenze di fallimenti dichiarati delle imprese, e presenta un tasso di disoccupazione totale pari al 3,1%, (quello nazionale è dell?8,7), registrando un reddito disponibile pro capite delle famiglie pari a 19.698,7 euro, il più alto tra tutte le province emiliano romagnole e decisamente più elevato rispetto al dato nazionale. Il fenomeno della cooperazione sociale si coglie invece a partire dalle analisi riguardanti il Terzo settore, che è cresciuto in provincia, dal 91 ad oggi, del 4,6%, occupando 38.224 dipendenti. A fronte di una quota di popolazione pari all?8,8% su quella regionale, le cooperative sociali della provincia, che rappresentano solo il 2% delle forme organizzative presenti nel Terzo settore provinciale, contano, però, il 49,6% della totalità degli addetti (18.965), presentando una dimensione media di 47,3 dipendenti per organizzazione (il nazionale è pari al 26,3). La cooperazione sociale provinciale (che, seconda solo a Bologna, registra 84 cooperative, possiede un rilevante impatto economico, raccoglie circa il 20% delle entrate del Terzo settore e produce un valore della produzione pari a 12 miliardi di euro, corrispondente al 17% del valore della produzione della cooperazione sociale regionale. La cooperazione sociale conta, inoltre, il 15% delle risorse umane impiegate a livello regionale (seconda solo a Bologna, 19% e Ravenna, 17), registrando un valore aggiunto della produzione pari al 8,6% di quello regionale, e ha una capacità di spesa pari al 13% di quella del settore a livello regionale. Oltre a registrare buone performance economiche, la cooperazione comporta effetti positivi sotto il profilo sociale, andando a rispondere alla domanda di beni e servizi relazionali ?tradizionali? in crescita o di nuova emergenza (coop di tipo A), cui l?ente pubblico non riesce più a rispondere, e favorendo l?inserimento nel mercato del lavoro di persone che ne sarebbero escluse (coop di tipo B), comportando risparmi di risorse destinate ad attività assistenziali e soprattutto promuovendo lo sviluppo della personalità delle persone coinvolte, con un approccio non assistenziale. Il 28% delle uscite delle cooperative sociali sono destinate ad attività di sviluppo economico e integrazione sociale; nello specifico il 21% di tali risorse sono dedicate all?inserimento lavorativo svolto dalle cooperative di tipo B che costituiscono un caso di eccellenza, realizzandosi nella provincia di Forlì-Cesena, circa il 50% del totale degli inserimenti lavorativi effettuati in regione. La cooperazione sociale di inserimento lavorativo occupa più di 1.050 lavoratori, di cui circa la metà è costituita da svantaggiati, ed è un settore aperto al miglioramento delle professionalità impegnate nell?impresa al fine di curare il profilo imprenditoriale e quello di gestione del personale e di sviluppo delle figure legate alla fase dell?inserimento lavorativo. di Giulio Ecchia presidente del corso di laurea in Economia delle imprese cooperative e delle onp Università di Bologna sede di Forlì


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