L'editoriale
Caso Ferragni o caso Balocco?
La fama dell'influencer ha coperto finora le responsabilità della storica azienda dolciaria di Fossano. Che oltre alla presunta truffa nei confronti dei clienti ha messo in piedi un'operazione di marketing spregiudicata che prevedeva un cachet di un milione di euro per la Ferragni a fronte di una donazione di 50mila euro a favore dei bambini malati dell'ospedale Regina Giovanna di Torino. Una sproporzione abnorme
Alla fine il Pandorogate un effetto positivo lo lascerà. Chiara Ferragni in un improbabile video di scuse ha infatti promesso che donerà all’ospedale pediatrico Regina Margherita di Torino un milione di euro. Non è poco e gliene va dato atto, tenendo comunque ben a mente che l’influencer da quasi 30 milioni di seguaci e un patrimonio stimato di 40 milioni in questa vicenda, a parte la toppa finale, le ha sbagliate davvero tutte.
Un milione di euro che il Regina Margherita non avrebbe mai ottenuto se le cose fossero andate come Ferragni e Balocco avevano pianificato. Eh sì, perché occorre accendere un faro anche sulla Balocco. La storica azienda dolciaria di Fossano (Cuneo), 185 milioni di fatturato e 500 dipendenti (dati 2021), uno slogan “Fate i buoni” quanto meno ardito, nessun cenno ad alcun report/bilancio sociale (almeno a leggere il sito), ha responsabilità gravi. Responsabilità che finora rimaste nell’ombra grazie alla popolarità di Ferragni.
Vediamo i numeri. Con una premessa: nel provvedimento dell’Antitrust che condanna la società di Chiara Ferragni e l’azienda piemontese per pratica commerciale scorretta a proposito del Pink Pandoro commercializzato nelle festività 2022, tutte le cifre dei contratti sono cancellate per ragioni di privacy, e le sole in chiaro sono pertinenti alle sanzioni comminate: 420mila euro alla Balocco, 400mila euro alla Fenice e 675 mila euro alla Tbs Crew. Entrambe queste ultime due aziende sono riconducibili all’imprenditrice cremonese. Altri dati certi: lo scorso Natale i pandori Balocco tradizionali sono stati venduti in media a 3,68 euro l’uno. Quelli griffati Ferragni a 9,37 euro l’uno (venduti con la convinzione per l’acquirente che il gap sarebbe andato in beneficenza). Il differenziale è stato di 5,69 euro a pandoro, a parità di costi di produzione.
I pandori rosa messi in commercio sono stati 362.577, 290.061 quelli venduti, per un incasso lordo di 2.717.871 euro. Rispetto ai pandori tradizionali il maggiore incasso di quelli griffati è stato quindi di 1.650.447 euro. Le ricostruzioni giornalistiche di questi giorni (non smentite) completano il quadro. A partire dal “gettone” riconosciuto a Ferragni di circa un milione di euro (esattamente la stessa cifra che l’influencer ha promesso di devolvere all’ospedale). Quindi restano 650.447 euro di maggiori incassi della Balocco. Se sottraiamo la multa dell’Antitrust e i 50mila euro di donazione che la Balocco aveva destinato all’ospedale pediatrico mesi prima del dicembre 2022, escamotage sul quale è stata architettata tutta l’operazione, in tasca all’all’azienda che ci invita a “fare i buoni” rimangono poco più di 180mila euro.
Ricapitoliamo: al netto della recidiva di Ferragni (come ha ben notato la brava Selvaggia Lucarelli un caso analogo si era verificato nel 2021 e nel 2022 con le uova di Pasqua vendute da Dolci Preziosi suppostamente a favore dell’impresa sociale “I bambini delle fate”) Balocco ha versato nelle tasche dell’imprenditrice un milione di euro a fronte di una donazione per i bambini malati del Regina Margherita di 50mila euro: il tutto per realizzare un utile di 180mila euro.
Cosa diversa naturalmente sarebbe stato se il contributo riconosciuto alla “Vip” fosse stato legato al crescere dell’importo donato. In questo caso l’effetto traino avrebbe davvero avuto un impatto positivo e solidale e non si sarebbe stato nulla da ridire
La sproporzione fra i cachet riconosciuto a Ferragni e l’attività di giving è abnorme per un’operazione costruita proprio in nome della solidarietà. Cosa diversa naturalmente sarebbe stato se il contributo riconosciuto alla “Vip” fosse stato legato al crescere dell’importo donato. In questo caso l’effetto traino avrebbe davvero avuto un impatto positivo e solidale e non si sarebbe stato nulla da ridire. Purtroppo la realtà è stata ben diversa.
Possibile che gli amministratori della Balocco non se ne siano e non se ne rendano conto? Possibile che una azienda storica del food made in Italy non si faccia scrupoli ad “usare” a scopi di marketing la sofferenza e i bisogni di bambini malati e delle loro famiglie?
Evidentemente sì in un Paese in cui la cultura aziendale del giving è ancora all’anno zero (a parte poche e meritevoli realtà che cerchiamo di valorizzare nel nostro racconto quotidiano). A proposito: leggete i numeri del nostro VIII Italy Giving Report che trovate qui sotto in cui emerge la grande distanza fra la propensione al dono dei privati e quella corporate (sul numero del magazine di febbraio uscirà l’aggiornamento annuale).
Un’ultima notazione. In questi giorni basta entrare in un supermercato per percepire e vedere l’astio dei consumatori nei confronti dei prodotti Balocco, proprio nella stagione in cui l’azienda realizza il grosso dei ricavi. L’harakiri del Pink Pandoro rischia di essere pagato a caro prezzo anche e soprattutto dalle centinaia di lavoratori dell’azienda. Se saranno davvero loro a pagare, sarebbe l’indegno finale di una brutta storia. Altro che “fate i buoni”.
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