Prevenzione degli abusi sui minori

Casellario giudiziale, i dubbi dei big del volontariato con minori

I capi scout e gli allenatori del Centro sportivo italiano: il volontariato al fianco dei minori qui ha numeri elevatissimi. Che ne pensano loro dell'ipotesi che tutti i volontari presentino il certificato del casellario giudiziale? «Serve semplificare, intaseremmo i tribunali», dice il presidente del Csi. «La miglior prevenzione? È la comunità capi», rispondono invece i due presidenti del Comitato nazionale Agesci

di Sara De Carli

«Se l’efficacia va misurata rispetto al tentativo di evitare che “persone con precedenti specifici” continuino a commettere abusi sui minori facendo volontariato in associazione… la nostra risposta è no. Il certificato restituisce solo condanne definitive e per reati molto gravi. La direzione verso la quale si orienta la prevenzione in questo modo è quella di un controllo formale e non sostanziale»: Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale Agesci, commentano così l’idea che tutti i volontari che operino accanto a un minore presentino obbligatoriamente il certificato del casellario giudiziale, come strumento preventivo di abusi su minori.

A lanciare la proposta è stata Carla Garlatti, Autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza, in occasione dell’ultima Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Su VITA abbiamo già raccolto alcune reazioni. Ora è la volta di Agesci e Csi, due “giganti” in Italia quanto a volontariato accanto ai minori. «Siamo d’accordissimo con questa proposta della Garante per l’infanzia e l’adolescenza. Nel mondo dello sport, il certificato del casellario giudiziale è già richiesto ai lavoratori e concordiamo con il fatto che non abbia senso trattare diversamente persone che stanno accanto ai minori in forza di un contratto di lavoro e persone che fanno la stessa cosa da volontari», dice il presidente nazionale del Csi, Vittorio Bosio.

Sì, ma con procedure semplificate

«Dal 1° luglio, nell’ambito della riforma dello sport, per legge tutte le ASD e tutte le società sportive dilettantistiche hanno l’obbligo di avere una Child Safeguarding Policy e di nominare un responsabile della tutela minori. Come Centro Sportivo Italiano da tempo ci siamo dotati di una Child Safeguarding Policy a livello nazionale e per tutti i Comitati territoriali, ma ora tutte le associazioni e le società affiliate devono averne una propria. Gli uffici della Presidenza nazionale sono a disposizione delle società sportive affiliate per assisterle e affiancarle nella stesura di policy per i minori», racconta Bosio.

Questo obbligo di legge «contribuirà certamente ad un innalzamento di consapevolezza e di sensibilizzazione rispetto alla tematica della tutela dei minori, e in particolare a predisporre tutte le misure preventive da adottare per evitare rischi. In diverse occasioni ho sottolineato l’importanza di tutelare i minori attraverso tutte le misure di garanzia previste dalle normative, contestualmente però è anche necessario semplificare la procedura per l’ottenimento del certificato del casellario giudiziale. Per alcune categorie di lavoratori del mondo sportivo – ad esempio i maestri di sci – potrebbe essere possibile rispettare le tempistiche. Bisognerebbe però tenere conto che, se tutti gli allenatori volontari delle 12mila società sportive del Csi richiedessero il casellario giudiziale, con le procedure attuali si rischierebbe davvero di intasare i tribunali», spiega il presidente del Csi.


Serva una semplificazione. Se tutti gli allenatori volontari delle 12mila società sportive del Csi richiedessero il casellario giudiziale, con le procedure attuali si rischierebbe davvero di intasare i tribunali

Vittorio Bosio, presidente Csi

Oggi le prassi sono molto diverse da un tribunale all’altro: «Il volontario deve recarsi fisicamente in tribunale per chiedere il certificato, che non sempre viene prodotto contestualmente. Talvolta purtroppo è necessario recarsi più volte in tribunale per ottenere quanto richiesto. Un’altra criticità è rappresentata dal fatto che il certificato dura sei mesi e quindi non copre nemmeno l’arco delle attività sportive annuali. La nostra richiesta, come Centro Sportivo Italiano, è che la domanda del certificato giudiziale sia centralizzata e semplificata, e possa essere inoltrata digitalmente tramite SPID. In questo modo, potendo accedere ad una procedura più agevole, la durata ridotta potrebbe non rappresentare più un problema e consentirebbe ai tantissimi operatori del mondo dello sport di rispettare le normative in tempi ragionevolmente brevi», conclude Bosio.

La miglior tutela? È la comunità dei capi

Ma torniamo agli scout e ai loro 33mila capi che ogni settimana si dedicano a bambini e adolescenti. «Sembra una novità, ma in realtà quando nel 2014 è uscita la legge che ha previsto il certificato per i dipendenti, il ministero si è posto il problema dell’estensione interpretativa della norma anche all’attività di volontari non rientranti in un rapporto di lavoro, ma l’aveva esclusa. La direzione verso la quale si orienta la prevenzione, in questo modo, è quella di un controllo formale e non sostanziale», affermano invece Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale Agesci.

Il tema ovviamente esiste ed è centrale, ma secondo Agesci «è la struttura dell’Associazione che può funzionare per intercettare persone con precedenti specifici, anche non definitivi come quelli che restituirebbe il certificato del casellario giudiziale: la Comunità dei capi è il luogo del filtro», dicono. In Agesci infatti «nessun capo opera solo, ma è la Comunità dei capi che agisce insieme. Oggi in Agesci la prevenzione di eventuali abusi su minori passa attraverso la conoscenza diretta e continua delle persone in contatto con il minore; i Capi che si avvicinano sono conosciuti e comunque esiste una dimensione di rete, che rende la prevenzione un’attività costante. Certamente può esserci un’attenzione più elevata quando ci sono Capi che accedono alla Comunità dei capi da altri contesti geografici o che partecipano, ad esempio, in modo non effettivo e continuo ad eventi per ragazzi al di fuori del contesto della propria comunità di riferimento. Dobbiamo dire che i soggetti della rete di solito sono capaci di cogliere le situazioni di pericolo e di intervenire tempestivamente», spiegano.

In Agesci la prevenzione passa attraverso la conoscenza diretta e continua delle persone in contatto con il minore; i Capi sono conosciuti e comunque esiste una dimensione di rete, che rende la prevenzione un’attività costante. Nessun capo opera da solo. La Comunità dei capi è il luogo del filtro

Roberta Vincini e Francesco Scoppola, presidenti del Comitato nazionale Agesci

Il fatto che nessuno agisca da solo, quindi, è la migliore garanzia. «Questo controllo o monitoraggio invece non può essere garantito da un documento rilasciato una volta per tutte all’inizio del rapporto educativo, tra l’altro inerente argomenti che dovrebbero essere stati accertati in via definitiva dall’autorità giudiziaria» dicono Vincini e Scoppola.

Un dubbio, poi, riguarda gli aspetti più burocratici: questo eventuale obbligo di certificazione per i volontari «in Agesci coinvolgerebbe anche tutti quei minori di età che fanno esperienza di volontariato (il cosiddetto “servizio associativo”) in modo “diretto e continuativo” nei confronti di altri minori di età, pure se in affiancamento a Capi educatori (gli “aiuti capi, ndr). La norma infatti non distingue il ruolo, ma prende in considerazione solo la circostanza del “contatto diretto e continuativo”».

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