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Case famiglia, non mense aziendali

Quando una legge, in sé giusta, dimentica il buon senso: il decreto legge sull’industria alimentare a cura di Lino Innocenti della Fondazione Bernardi(Conegliano Veneto)

di Redazione

Con il mese di giugno di quest?anno sono entrate in vigore le norme del decreto legislativo 155/97 relativo alle misure da attuarsi da parte delle ?industrie alimentari? al fine di una corretta igiene. All?articolo 1 del suddetto decreto, l?industria alimentare è definita come «ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che esercita una o più delle seguenti attività: la preparazione, la trasformazione, la fabbricazione, il confezionamento, il deposito, il trasporto, la distribuzione, la manipolazione, la vendita o la fornitura, compresa la somministrazione, di prodotti alimentari». È evidente che, tranne forse le famiglie, tutti gli altri soggetti sono a tutti gli effetti ?industria alimentare? nel momento in cui devono provvedere alle funzioni di cui sopra. E veniamo al problema. Questa Fondazione gestisce tre comunità alloggio per minori in situazioni di disagio familiare e sociale. Tali comunità sono state riconosciute idonee e autorizzate al funzionamento ai sensi di legge (55/82). Ci risulta che la politica nazionale e regionale in materia di salvaguardia dei minori vada verso la soppressione degli Istituti e la creazione, dove non sia possibile attuare altri interventi (affido, adozione), di comunità di tipo familiare ove sia il più possibile mantenuto un clima accogliente, di affetto, di attenzione e di calore umano, entro il quale il minore possa, intraprendere e portare a buon fine un ben preciso percorso ricostruttivo. Per ottenere l?idoneità e l?autorizzazione al funzionamento, ciascuna delle strutture in argomento ha dovuto dimostrare di rispettare pienamente le norme abitative e igienico sanitarie previste dalla legge. Ogni struttura è inoltre in possesso dell?autorizzazione sanitaria per la cucina di cui alla legge 283/62 rilasciata dal Sindaco quale autorità sanitaria. L?essere in regola con le normative citate già richiede alle strutture piccole, che sono la maggioranza, tutte senza scopo di lucro, la maggior parte basate sul volontariato, una serie di investimenti non da poco. Ma lo sforzo maggiore è quello di essere in regola senza che i nostri ospiti ne risentano. Cioè: è interesse di tutti e primariamente della struttura di accoglienza mantenere in buona salute i propri ospiti e quindi rispettare tutte le norme igieniche. Ma se il minore deve vivere in un ambiente che ricalchi (per legge) il più possibile quello di una normale famiglia non può vivere nel contempo in un ambiente asettico e sterile, dove non può entrare nessuno se non autorizzato, con camice, ecc. ecc. È una contraddizione in termini! Ora, ecco aggiungersi anche norme europee, calate su tutti i soggetti senza distinzione di dimensione, utenza, finalità e impostazione. Le sanzioni sono pesanti, fino a 60 milioni. Già prima si correva il rischio di essere perseguiti penalmente. Come ci si deve comportare? Dobbiamo continuare a essere comunità e gruppi famiglia o dobbiamo riconvertirci in Istituti educativi-assistenziali con belle cucine asettiche che i bambini non vedono mai, con cuoche in divisa, che magari non abbondano in affettività, ma che sanno a memoria le Analisi dei pericoli e Punti critici secondo quanto previsto dall?apposito Manuale di autocontrollo per l?igiene degli alimenti con il sistema Haccp? Non si tratta di sterile polemica o di desiderio di sottrarsi al dovere di lavorare nel miglior modo possibile. Chiediamo a chi di dovere (ci risulta che sia all?esame una proposta di revisione del decreto legge) di valutare questa nostra segnalazione, considerando che non si toglie nulla alla professionalità del settore se pur lo si mette in grado di operare con elasticità e buon senso per il bene dei minori, privilegiando il loro trovarsi in un ambiente accogliente e familiare.


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