Formazione

Casa: tornano le comuni

Sei milioni gli italiani che, per scelta, convenienza o bisogno, vivono in coabitazione, dividendo l'alloggio con persone alle quali non sono uniti da legami di familiarita' in senso stretto

di Carmen Morrone

L’altra faccia della medaglia, in una societa’ caratterizzata dalla corsa all’acquisto della casa, e’ il ritorno della coabitazione, fotografata dall’ottavo Rapporto Censis casa monitor 2006. Mentre nel nostro Paese continua a crescere il numero complessivo delle famiglie (piu’ di 22 milioni), non si arresta il processo di diversificazione delle tipologie familiari e, parallelamente, si consolidano i cambiamenti nelle modalita’ di utilizzazione delle abitazioni. I fenomeni che nell’ultimo decennio si sono dimostrati di maggiore rottura con gli assetti sociali tradizionali riguardano il calo della fecondita’ e il notevole incremento tanto delle persone sole (single e vedovi/e) quanto dei nuclei monogenitori: tutti mutamenti che si legano alla generale riduzione del numero medio dei componenti del nucleo familiare. Le famiglie vedono diminuire progressivamente la loro dimensione, i giovani si trattengono di piu’ all’interno del nucleo familiare di origine, ma l’impatto probabilmente meno visibile della trasformazioni in atto nelle strutture sociali e’ il ritorno del fenomeno della coabitazione, alimentato da ragioni diverse che nel ciclo storico precedente. Se nel modello di convivenza del passato la famiglia ‘estesa’ si apriva ad accogliere al suo interno diversi nuclei familiari legati da stretti vincoli di parentela, oggi piu’ di un milione e mezzo di famiglie si trovano a convivere nella stessa abitazione talvolta per motivi di opportunita’ pratica e convenienza economica, in altri casi spinte da disagi abitativi veri e propri. A meta’ degli anni ’90 viveva in coabitazione il 6,9% delle famiglie italiane (1.429.000 unita’). Il dato e’ cresciuto al 7,7% nel biennio 1998-1999 (1.639.000 unita’), per poi assestarsi al 7,1% nel 2003 (1.578.000 famiglie). Secondo le stime effettuate sugli ultimi dati disponibili, si tratta nell’insieme di 5.713.000 persone: un italiano su dieci (9,9%).Le componenti di questo nutrito gruppo sono: le famiglie ‘allargate’ o plurinucleari (piu’ di un milione e mezzo di individui); le coppie che vivono con altre persone (2.104.000 soggetti), i monogenitori che vivono insieme ad altri membri coabitanti (348 mila), i singoli che vivono in casa con coppie e famiglie monogenitori (915 mila persone); infine, un insieme di 831 mila persone e’ composto da coloro che, non costituendo propriamente nuclei familiari legali o di fatto, tuttavia decidono di condividere l’alloggio. Si tratta di single conviventi nella stessa abitazione, raggruppamenti di amici o coinquilini, parenti e altri, persino genitori anziani tornati a vivere con i figli gia’ usciti dalla famiglia di origine. In termini assoluti, gli italiani che vivono in coabitazione sono concentrati perlopiu’ nel Mezzogiorno (1.962.000 persone, oltre un terzo del totale dei coabitanti). Tuttavia, una maggiore incidenza relativa (in rapporto cioe’ con la popolazione residente) si riscontra nelle regioni centrali: Umbria (16,6%), Toscana (16,0%) e Marche (14,6%). Prevalgono le femmine (3.023.000 individui) sui maschi (2.691.000); le persone di eta’ compresa tra 41 e 65 anni e gli anziani; i soggetti con una occupazione, magari precaria, o in pensione. Gli studenti che vivono in coabitazione, soprattutto in ragione dei traferimenti motivati dagli studi universitari, ammontano a 296 mila, ma il dato ufficiale non tiene conto dei giovani con affitti ‘in nero’.Infine, si riscontra una incidenza della coabitazione superiore al dato medio nazionale tra i soggetti in cerca di occupazione (12,5%) e tra i pensionati (13,2%). Probabilmente, i dati presentati sottostimano la realta’, poiche’ si riferiscono solo alla popolazione legalmente residente. Il ritorno della coabitazione si puo’ spiegare come effetto di una serie di concause, tra le quali figura senz’altro il fatto che negli ultimi anni l’offerta di alloggi in affitto ha assunto un ruolo progressivamente residuale. Nel contesto europeo, l’Italia si e’ sempre caratterizzata per il peso secondario dell’affitto (e, ancora di piu’, dell’affitto sociale). Negli anni piu’ recenti si e’ verificata una ulteriore riduzione dello stock di abitazioni disponibili per l’affitto, in quanto: da una parte, non si e’ generata nuova offerta, in quanto il patrimonio abitativo nuovo, costruito da soggetti privati, viene destinato pressoche’ esclusivamente alla vendita; dall’altra, sul fronte delle politiche pubbliche non esistono, di fatto, significativi programmi di edilizia sovvenzionata (l’affitto sociale); infine, hanno contribuito all’erosione della quantita’ di case in affitto le dismissioni del patrimonio pubblico operate da diversi enti, che hanno avuto un peso non trascurabile soprattutto nelle grandi citta’. In aggiunta, sul gia’ ridotto stock esistente di alloggi per l’affitto agiscono alcuni fattori di distorsione dell’offerta legati al comportamento di specifici segmenti della domanda. Si tratta dei molti immigrati (spesso irregolari) e dei non pochi studenti universitari che, occupando case senza regolare contratto di locazione, di fatto sottraggono dal complesso dell’offerta quote importanti di case altrimenti sfitte e disponibili. Va sottolineato, inoltre, l’effetto dell’incremento del costo medio degli affitti, che tra il 2000 e il 2004 ha superato il tasso nominale del 25% in molte delle principali citta’ italiane, fino a registrare rincari record del 94,4% a Firenze, del 68,4% a Venezia, 63,3% a Roma, 55,7% a Bologna. Ma chi non puo’ contare su risparmi e fonti di reddito sufficienti per comprare un’abitazione? Questa domanda apre una riflessione sull’assenza di politiche sociali rivolte ai segmenti deboli del mercato abitativo in Italia. La coabitazione sembra, infatti, la soluzione percorsa in questi casi. Certo c’e’ chi volontariamente opta per la condivisione dell’abitazione con altre famiglie o con amici e conoscenti. Ma come dimostrano i dati, non mancano spezzoni di ceti medi che, alle prese con una lenta crescita dei redditi disponibili, si trovano a dover ridurre le proprie spese, e quindi a scegliere giocoforza di condividere con altri un affitto o di farsi ‘ospitare’ da famiglie proprietarie.


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