Economia

Casa, formazione, lavoro: tris vincente per l’autonomia

Politiche giovanili /2. La voce della cooperazione sociale: il privato sociale propone le sue ricette. E chiede una mano alle fondazioni. Di Luca Zanfei

di Redazione

Ripensare le politiche giovanili significa considerare le nuove esigenze di una categoria ormai sempre più ?adulta?. Il ministro Melandri è stato chiaro: «i giovani sono una risorsa e non un problema». In poche parole: è ora di superare la mera ottica dell?intervento come educazione e recupero sociale del soggetto, per puntare invece su una completa inclusione fatta di politiche per la casa, la formazione e il lavoro. Lo stanziamento di 115 milioni di euro destinati al Fondo per le politiche giovanili va in questa direzione. Ma il primo passo sarà quello di partire dall?esperienza degli enti locali e soprattutto da un nuovo ruolo del terzo settore e della cooperazione sociale. «Il mondo cooperativo dovrà cambiare strategia», spiega Massimo Giusti, vicepresidente di Confcooperative. «Da una parte si dovrà puntare sull?intersettorialità dell?intervento, mettendo a fattor comune le esperienze nei diverse campi di azione, dall?altra sarà necessario guardare a nuovi soggetti, come le fondazioni bancarie, per entrare direttamente nel sistema di offerta con investimenti propri, svincolati dalla morsa dei finanziamenti pubblici. Solo così si possono pensare servizi efficaci e adatti alle nuove esigenze». Il lavoro al primo posto Innovazione sembra ancora una volta la parola d?ordine, soprattutto per quanto riguarda uno dei capitoli più delicati del welfare, come quello del lavoro. Settore nel quale l?Italia rimane tutt?oggi fanalino di coda dell?Europa, con un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 20% rispetto al 15 della media Ue. La soluzione è allora quella di insistere sulla responsabilizzazione dei giovani e «in questo senso la cooperativa può rappresentare un vero valore aggiunto perché rende possibile il passaggio diretto da un ruolo di semplice fruitore dell?intervento a quello di socio e quindi di lavoratore impegnato attivamente nel miglioramento del servizio», dice Gianantonio Farinotti, consigliere amministrativo del consorzio Luoghi per crescere. Così ad oggi la cooperazione italiana è diventata uno dei migliori modelli di impresa al giovanile, con oltre il 70% di strutture gestite da persone con età inferiore ai 35 anni. Un fenomeno che «impone una particolare riflessione sul tipo di politiche pubbliche da adottare se si vuole incentivare e favorire una tendenza finora sviluppatasi spontaneamente», spiega Mauro Maurino, consigliere delegato Cgm. «In questo senso lo Stato dovrebbe sostenere l?incubazione di impresa con vantaggi di imposta o gettare le basi, anche normative, perché si possa creare un particolare connubio tra attività produttive e aggregazione giovanile. Penso a particolari negozi a tendenza tipicamente giovanile che siano al contempo centri di socializzazione per gli avventori». Cultura per crescere E nell?ottica dell?innovazione e dell?apertura a nuovi mercati, una strada da intraprendere potrebbe essere quella di investire sull?aspetto della produzione culturale e artistica. «Questo è un campo ancora inesplorato dal pubblico e dalla stessa cooperazione perché si pensa non sia prioritario per l?inclusione sociale dell?individuo», commenta Maurino. «C?è bisogno di un cambiamento di mentalità, si deve cominciare a pensare alla produzione artistica anche come possibile attività per la vita. E allora le cooperative potrebbero fare da veicolo per l?accumulo di fondi da impiegare nella creazione di mercati minori e, insieme al pubblico, di reti per la valorizzazione di questo tipo di produzione». La sfida formazione Ma oltre al settore culturale e di autoimprenditoria, la dinamica di rete deve interessare anche il campo della formazione. Il nodo da sciogliere è quello dell?incoerenza tra iter formativo e futura attività lavorativa. Un problema rilevante se si guarda ai dati Istat e all?alta percentuale di occupati laureati che considerano il titolo di studio ininfluente nel proprio percorso professionale. Un primo tentativo di soluzione del problema è stato l?istituzione del servizio civile retribuito, ma «così com?è realizzato attualmente, questo strumento sta perdendo la sua funzione di esperienza formativa e partecipativa», dice Giusti. «Il vero punto di forza potrebbe essere invece l?avvio di un dialogo tra le università e le realtà territoriali, come il terzo settore e le cooperative, che si candidano a svolgere la funzione di orientamento, tutoraggio e inserimento. Questo si sta già facendo per i master e per certe facoltà a carattere sociale, ma il vero passo in avanti sarebbe considerare anche gli ambiti e le competenze che attualmente non hanno grandi sbocchi lavorativi. In ogni caso, le università dovranno provare a rivedere i propri programmi formativi anche nell?ottica della pratica sul campo e non solo della teoria». E proprio sulla flessibilità del sistema di formazione italiano insiste Maurino. «Ciò che veramente manca al nostro sistema è un?adeguata capacità di apprendere facendo. La cooperazione è il luogo adatto per questo, proprio perché forma il soggetto nel lavoro e contemporaneamente invoglia a riflettere sull?esperienza fatta. L?università dovrebbe studiare il modo di codificare questo tipo di processo per dare quelle basi teoriche che spesso mancano alle cooperative, luoghi dove sono l?esperienza e l?apprendimento sul campo a essere importanti». Casa, dolce casa Anche l?abitazione rimane uno dei punti deboli del sistema italiano. In questo senso «ci deve essere una seria pianificazione a livello territoriale con la partecipazione degli enti locali, del privato sociale e delle fondazioni bancarie», propone Giusti. «Questo permetterebbe di abbassare i prezzi di affitto e calmierare l?intero sistema». O, in alternativa, «bisogna agire sulle regole di mercato favorendo i soggetti privati che hanno finalità pubbliche», spiega Maurino. «Questo permetterebbe alle cooperative di acquistare alloggi a prezzi bassissimi durante le aste pubbliche di dismissione. Così da agire sul contenimento degli affitti. Insomma almeno per questo settore si potrebbe ragionare in termini non monetari, ma di utilità pubblica«.


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