Giovani
Casa Bertollo, dove gli adolescenti allenano l’autonomia
A Cittadella, nel padovano, per due settimane, dieci ragazzi tra i 15 e i 18 anni fanno un'esperienza di convivenza, accompagnati da due educatori. Non sette giorni di attività organizzate, ma solo la vita quotidiana da vivere insieme. Ogni anno, da quattro anni, da casa Bertollo con il Progetto Amigo passano 150 ragazzi. Il racconto di Carlotta, Riccardo e Giulia
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Scoperta, indipendenza e amicizia: sono queste le tre parole con cui Carlotta Rizzardi, Giulia Paolin e Riccardo Zella descrivono la loro esperienza all’interno del progetto Amigo, rivolto a ragazzi tra i 15 e i 18 anni che per una settimana vivono insieme a due educatori professionisti nel centro Bertollo di Cittadella, in provincia di Padova. Si tratta di una comunità di alloggi educativi che, in collaborazione con le istituzioni pubbliche, sostiene anche persone in situazioni di fragilità.
«Durante la settimana di coabitazione non ci sono mamma e papà pronti a risolvere i problemi, a cucinare o a fare le lavatrici», racconta il sedicenne Riccardo. «Se non ci si rimbocca le maniche e non si fa da soli, tutto resta immobile. Ed è proprio questo il bello: nessuno organizza niente per nessuno. I dieci ragazzi che partecipano all’esperienza di convivenza si gestiscono autonomamente: si va a scuola, alle attività sportive del pomeriggio, si fanno i compiti, si fa la spesa e si cucina. È un’esperienza diversa da tutte quelle che ho già vissuto. Per esempio, io sono scout da anni, ma durante i campi tutto è già organizzato prima della partenza. Qui, invece, siamo noi a dover gestire e organizzare il nostro tempo e le nostre attività».
Amigo: all’origine del progetto l’autonomia nella coabitazione
L’idea delle settimane di autonomia per adolescenti è nata da due professionisti padovani: Francesco Vietina, psicologo ventinovenne, e Marta Avi, educatrice trentatreenne. Durante la pandemia da Covid-19, si sono interrogati sulle conseguenze del lockdown per i ragazzi e, ascoltando i loro bisogni, hanno dato vita al progetto Amigo.
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«I ragazzi hanno un grande bisogno di fare esperienze di autonomia», spiega Vietina, «e, soprattutto dopo il Covid, è fondamentale creare per loro occasioni di relazione. Cosa c’è di meglio di una casa dove possono togliersi la corazza che gli adolescenti usano per affrontare il mondo? Fin dai primi giorni in cui abbiamo lavorato al progetto, abbiamo sempre pensato a un’esperienza di vita condivisa, non a sette giorni con attività programmate. Avevamo chiaro che volevamo mettere “la vita al centro”. Perché siamo convinti che è il vivere insieme la quotidianità che trasmette i valori».
Non servono attività strutturate con condivisioni finali per far riflettere i ragazzi. Serve piuttosto fargli fare esperienze di vita quotidiana. È il vivere insieme la quotidianità che trasmette i valori
Francesco Vietina, psicologo
Vietina prosegue con un esempio: «In una delle settimane di convivenza, una ragazza ha raccontato alle sue amiche di come, a casa Bertollo, non sentisse il bisogno di essere sempre truccata per mostrarsi agli altri, ma si sentisse accettata e a suo agio anche senza trucco. Come dire che vivendo la casa questa ragazza ha ridimensionato il ruolo dell’apparire nella sua vita. Questo esempio dimostra che non servono attività strutturate con condivisioni finali per far riflettere i ragazzi ma, piuttosto, serve fargli fare esperienze di vita quotidiana».
Ogni anno 150 ragazzi coinvolti nel progetto
Il progetto Amigo prevede, da ottobre a maggio, due settimane al mese di coabitazione presso il centro Bertollo. Dal suo avvio, nel 2021, ogni anno partecipano circa 150 ragazzi, che vengono accolti la domenica sera e concludono l’esperienza con il pranzo di saluto della domenica successiva. Agli studenti dell’ultimo anno delle superiori, che hanno già vissuto l’esperienza di convivenza con gli educatori, viene offerta l’opportunità di una settimana di totale autonomia, senza la presenza costante degli educatori.
«A casa mia vivo molto da sola», racconta Giulia, diciottenne alla sua terza esperienza di Amigo. «Ma qui è comunque tutto diverso, perché non c’è mamma che mi ricorda gli impegni del pomeriggio, o se faccio tardi mi tiene pronta la cena. Qui no. Anche all’inizio della settimana so che devo fare un bagaglio completo, perché se dimentico qualcosa non posso tornare a casa a prenderlo. È qui al Bertollo che ho creato il gruppo dei miei amici più cari. Ho imparato, per esempio, a non eccedere con il mio carattere. Devo darmi dei limiti, altrimenti finisco per danneggiare me stessa».
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Il centro Bertollo come una vera casa
Quello che emerge dai racconti di questi ragazzi è come, settimana dopo settimana, l’alloggio sia diventato per loro una vera e propria casa. Come spiega la diciassettenne Carlotta: «Appena varchi la soglia ti senti subito a tuo agio. La mia prima settimana è stata a marzo 2024, poi per motivi di studio e sport non sono riuscita a tornare prima di gennaio 2025. Quando sono rientrata, è stato come se non fossero passati dieci mesi. Perché Bertollo è diventato per noi il luogo dove possiamo essere noi stessi, dove abbiamo imparato che si può crescere, maturare e conoscere meglio se stessi anche senza l’aiuto dei genitori. Loro rimangono le nostre figure di riferimento, ma ora sappiamo che possiamo contare anche sui nostri coetanei. Questo ci fa sentire sicuri, non siamo soli, siamo un gruppo di amici che si diverte vivendo la quotidianità».
I genitori rimangono le nostre figure di riferimento, ma ora sappiamo che possiamo contare anche sui nostri coetanei. Questo ci fa sentire sicuri, non siamo soli
Carlotta, 17 anni
Ed è proprio sull’importanza di sentirsi parte di un gruppo di cui ci si può fidare che riflette Riccardo, ammettendo: «Di carattere, anche se non sono figlio unico, tenderei a essere solitario. Anche nello sport ho scelto l’atletica perché è un’attività in cui mi confronto soprattutto con me stesso. Ma con Amigo ho imparato l’importanza della collaborazione. Un esempio banale: non posso cucinare per dieci persone da solo. Ci ho provato all’inizio, ma ho dovuto cedere e chiedere aiuto. Ho capito che, se si collabora, il risultato è migliore».
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Una settimana di coabitazione, in cui si continuano a svolgere tutte le attività quotidiane come a casa, ha il potere di incoraggiare e favorire l’autonomia dei ragazzi che imparano a “fare da soli”. Inoltre, offre loro l’opportunità di condividere non solo gli spazi, ma anche pensieri, sentimenti ed emozioni. Perché tutto ciò avvenga, non può mancare il divertimento: giochi da tavolo, la visione di un film e, nel weekend, uscite ludico-aggregative per concludere la settimana insieme.
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Essere se stessi: unica regola per partecipare ad Amigo
«Questa esperienza di coabitazione si caratterizza per il fatto che ai ragazzi non viene chiesto nulla in cambio della loro partecipazione», spiega lo psicologo. «In altre esperienze, come quelle con gli scout, in parrocchia o con le associazioni sportive, è sempre sotteso un tacito accordo: “Puoi partecipare, se fai l’attività che abbiamo organizzato per te”. Lo stesso accade a scuola, dove si va con l’aspettativa di tornare a casa con un voto o una competenza acquisita. Nella settimana di convivenza di Amigo, invece, ai ragazzi viene chiesto solo di portare se stessi. Qui sei accolto per quello che sei, senza altre aspettative. Ti chiediamo semplicemente di “stare” qui, nel tuo quotidiano ma di viverlo con dei coetanei».
Qui sei accolto per quello che sei, senza altre aspettative. Ti chiediamo semplicemente di “stare” qui, nel tuo quotidiano
A metà settimana, è prevista una serata di conversazione, in cui i ragazzi possono liberamente confrontarsi sulle loro emozioni, riflessioni e paure. «L’unica domanda che facciamo durante la serata è: come stai?», racconta Marta Avi, che aggiunge: «Questa domanda è rivolta soprattutto a chi partecipa per la prima volta, ma abbiamo notato che, con il tempo, diventa una domanda che i ragazzi si pongono anche tra di loro durante la giornata. È la dimostrazione di come vivere insieme sviluppi in loro una maggiore attenzione verso i bisogni degli altri. È un’opportunità per conoscersi, fermarsi e capire». Avi conclude: «Dal bisogno spontaneo che hanno di chiedere “come stai?”, noi adulti possiamo imparare molto sugli adolescenti, che spesso dipingiamo come distaccati e incapaci di esprimere i loro sentimenti. Ma non è così. Hanno un forte desiderio di condividere le loro emozioni, ma affinché questo avvenga è fondamentale che noi adulti impariamo a creare intorno a loro un ambiente accogliente».
Nelle foto, momenti di condivisione tra ragazzi e gli educatori Francesco Vietina e Marta Avi (foto dalla pagina facebook di progetto Amigo)
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