Sostenibilità

Carovita, un’agenda (seria)per batterlo davvero

parliamone

di Redazione

Il primo governo della nuova legislatura deve affrontare, fra i tanti, il problema del carovita. Una situazione che sta, e non da oggi, attanagliando milioni di cittadini, sempre più in difficoltà nel far quadrare i conti, e arrivare, come si dice, a fine mese.
Al problema la classe politica ha finora guardato tardi e superficialmente, senza vera sostanza, senza una strategia. E senza intelligenza. Anzitutto, quel problema non si esaurisce su un solo fronte, come quello della “spesa” quotidiana, bensì abbraccia i diversi “capitoli” del caro-casa, del caro-energia, del caro-servizi. E senza intelligenza, pure, sulle connessioni che qualsiasi serio tentativo di soluzione deve “incrociare”, le cosiddette grandi politiche: dell’agricoltura, dell’edilizia e del territorio, dei trasporti, dell’approvvigionamento energetico, della regolazione di banca e finanza, etc.
Mi limito, qui, a due esempi (il seguito alle prossime “puntate”), come promemoria per un’agenda finalmente seria. Occorrono, fra le altre cose:
1. Una rivoluzione dell’ormai decrepita “Pac” (Politica agricola comune) con la quale la Comunità europea ha limitato la produzione agroalimentare, finanziando abbattimento di capi, imponendo “quote” alla produzione di latte, premiando la dismissione di colture cerealicole, etc. Politica assurda in una fase storica, come quella che si è già aperta, in cui la domanda mondiale di cibo sale e salirà in modo esponenziale, grazie al fatto, in sé benvenuto, che centinaia di milioni di persone dei Paesi in via di sviluppo si stanno affrancando dai livelli di miseria che per secoli li hanno inchiodati alla fame. Occorre dunque smantellare quei vincoli e imboccare la strada opposta: aumentare la produzione e liberalizzare le importazioni dai grandi “granai” extraeuropei, come l’Argentina. Altrimenti ci troveremo fra breve a pagare 10 euro per una michetta di pane o un etto di pasta.2. Una nuova concezione della politica della casa che, prendendo atto della enorme rendita di posizione della quale i grandi proprietari di aree e di immobili hanno goduto e stanno godendo, estenda il concetto di “oneri” pubblici a carico di chi costruisce oltre la soglia tradizionale di quelli di urbanizzazione. E così legittimi i Comuni, che rilasciano le licenze edilizie, a richiedere che una quota – variabile secondo le necessità locali – dei metri cubi di nuove costruzioni venga destinata ad alloggi da affittare a canoni moderati a famiglie e single di reddito modesto, individuati secondo parametri obiettivi da una (snella!) commissione comunale cui partecipino rappresentanti di associazioni di inquilini e di consumatori. (I – continua)

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