Cultura
Caro Terzani, questa melassa non è da te
Recensione del libro "Lettere contro la guerra" di Tiziano Terzani (di Domenico Stolfi)
di Redazione
Alate banalità, buddhismo da operetta, lirismo degno delle più ispirate composizioni di Cristina D?Avena, cucchiaiate di melassa a go-go. Nonostante il coro di elogi che l?ha circondato, si esce frastornati da queste Lettere contro la guerra (Longanesi, 10 euro) di Tiziano Terzani. Lo si sapeva, il Nostro, chiuso a meditare in un ashram advaita. Purtroppo, però, come ci informa lui stesso, la durezza dei tempi lo ha convinto a uscire nel mondo per spargere la sua buona novella. Planando dalla quiete himalayana alla palude miasmatica di un mondo insozzato da guerre, violenze e inferni vari, il bodhisattva fiorentino, con voce flautata, ci esorta a diventare buoni. Le lettere indirizzate al nipote Novalis (non poteva certo chiamarsi Mario, il nipote di Terzani), informato del fatto che c?è troppa cattiveria sulla terra. Che le guerre sono brutte. E che il prossimo, anche se ha usi e costumi diversi, va amato. Magari aiutandosi con un po? di saggezza orientale, una barba bianca, un paio di Birkenstock e un sari bianco. E poi, pace, pace, pace, da ripetere ossessivamente come un mantra. Terzani dissemina le sue pagine di questo crogiolo di amenità, che hanno a volte il merito (non voluto) di strapparci una risata. E, ciliegina sulla torta, fa la morale all?amica Oriana (Fallaci). Peccato che la lettera che le scrive è un tale condensato di cieli azzurrini, commossi ?com?eravamo? e melenso pacifismo, da diventare perfettamente speculare al delirio dell?ossessa di New York.
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