Cultura

Caro Sartori, ecco perché sbagli

Esperti e musulmani rispondono alle parole del politologo del Corriere

di Martino Pillitteri

L’Islam sta nei media come il calcio sta nelle discussioni nei bar. Quando l’elite intellettuale italiana si esprime sulla religione islamica, la gente ascolta e replica. La polemica innestata dall’editoriale scritto dal politologo e saggista Giovanni Sartori  il 20 dicembre scorso ( l’integrazione degli  islamici ) secondo il quale i musulmani non hanno il pedigree  per diventare dei cittadini integrati,  aveva innescato una serie di contro editoriali e di lettere aperte sia da parte di altri intellettuali e da  cittadini musulmani che vivono, e che hanno sempre vissuto, in Italia. Martedi 5  gennaio, sempre dal Corriere della Sera, Sartori risponde a Tito Boeri  e ai”pensabenisti dell’Islam”  specificando che il suo primo suo articolo «si limitava a ricordare che gli islamici non si sono mai integrati, nel corso dei secoli, in nessuna società non islamica» e non quindi che «gli immigrati di fede islamica non sono integrabili nel nostro tessuto sociale». La “rettifica“ ha generato una marea di commenti sul sito del Corriere. Mentre una maggioranza dei lettori dà ragione al politologo, dall’altra c’è chi  definisce Sartori un “Fallacista” o “ideologo fai da te”; ma c’è anche chi è convinto che i veri talebani siano quei cattolici che vogliono far sentire l’Ave Maria sugli aerei dell’Alitalia prima del decollo;  mentre c’è chi spergiura che sui voli Egypt Air, dopo il video con le istruzione in caso di emergenza, gli autoparlanti diffondono un paio di minuti di recite coraniche. E i diretti interessati cosa ne pensano? Segue una carrellata di commenti di esperti di Islam e di musulmani che vivono in Italia:

Tito Boeri, economista, professore alla Bocconi di Milano e collaboratore di Repubblica:                                                                                            

Il 77 per cento dei maghrebini di seconda generazione immigrati in Francia ha sposato una persona di cittadinanza francese. Dichiarano di sentirsi francesi tanto quanto gli altri immigrati. In Germania un figlio di immigrato turco (al 90 per cento di religione islamica) ha la stessa probabilità di un figlio di immigrato italiano di sposarsi con una persona nata in Germania. Si identificano di più con il Paese che li ha accolti di quanto non facciano i figli dei nostri emigrati. Nel Regno Unito gli immigrati del Pakistan o del Bangladesh, le due più grandi comunità di fede islamica ivi presenti, si integrano allo stesso modo degli indiani, dei caraibici e dei cinesi. Si sentono britannici e parte del Regno Unito più degli immigrati di fede cristiana, anche se mantengono la loro religione. Si integrano economicamente e socialmente, nel lavoro, sposandosi con persone del Paese che li accoglie e parlando a casa l’inglese, indipendentemente da quanto spesso vadano in moschea, da quanto siano devoti all’Islam. Ritengono di poter essere al tempo stesso britannici e musulmani. Si sbagliano forse?

Stefano Allievi, sociologo dell’università di Padova:

Si tratta di operazioni ideologiche basate su assunti astratti e come tali non dimostrabili. È come se fossimo negli anni ’30 e ci chiedessimo: il cattolicesimo è compatibile con la democrazia? Sarebbe sconfortante guardare all’Italia di Mussolini o alla Spagna di Franco. Usare la storia è molto semplice per dire banalità: si possono trovare esempi che dimostrano qualsiasi tesi. Io, ad esempio, per dimostrare che l’Islam si integra perfettamente in un contesto democratico potrei portare il caso dell’Andalusia…

Coreis, Comunità religiosa islamica italiana:

Come musulmani italiani in casa nostra, riteniamo che un vero processo di integrazione passi necessariamente dalla necessità di riconoscere la dignità e la legittimità di una comunità di credenti che non deve essere “addomesticata”, ma riconosciuta giuridicamente, nella possibilità di avere dei luoghi di culto regolari, delle guide spirituali qualificate e affidabili, e nel far ascoltare una voce che può contribuire ad un arricchimento reciproco, ad una convivenza pacifica e ad uno sviluppo globale del nostro Paese.

Paolo Branca, Islamologo e docente di letteratura araba dell’università Cattolica di Milano:

Potremmo facilmente citare intere dinastie di califfi che, pur in società islamiche, aderirono sostanzialmente a valori etico-politici d’altra origine: basterebbe ricordare come già a Damasco (entro il 750 d.C.) e quindi a Baghdad (fino al 1258) le loro corti si popolarono di medici e astrologi, poeti e musici, danzatrici e cortigiani ereditati e mantenuti, non solo quali status simbol imprescindibili ma come efficaci elementi dell’ingranaggio del potere, dalle precedenti tradizioni imperiali iranica, greco-romana e bizantina e dell’estremo oriente. Se il Professore si lamentasse, insieme a noi, del fatto che tutto ciò resti in gran parte ignoto agli stessi musulmani di oggi, privati della ricchezza della loro stessa storia da un sistema educativo ridotto a una temibile macchina di mera propaganda da parte di regimi ignobili che usano spudoratamente una certa visione della religione per legittimare la loro inettitudine, la loro corruzione e il loro esecrabile dispotismo ai danni dei loro stessi popoli, non potremmo che rallegrarcene. Eccolo invece compiacere la vox populi come quasi mai un vero maestro dovrebbe fare, consapevole della complessità del reale e del carattere ingannevole delle risposte troppo facili. Ma restiamo pure al solo esempio ch’egli adduce: il caso dell’India. Effettivamente dominata da un potere islamico durante il periodo Moghul, essa non divenne mai maggioritariamente musulmana. Se ciò non avvenne non fu soltanto per la capacità di buddhisti ed indù di restare fedeli alla propria tradizione, ma anche per la rinuncia dei musulmani ad imporre la propria fede con la forza e non a caso coloro che si convertirono – similmente a quanto è avvenuto per quanti sono divenuti cristiani – lo fecero per liberarsi dal disumano sistema delle caste che li inchiodava per tutta la vita a ruoli subalterni dai quali la nuova confessione invece li emancipava.

Mujahed Issam, portavoce della comunità islamica di Brescia:

 Giovanni  Sartori salta dall’immigrazione all’Islam e la sua incompatibilità con il sistema politico non islamico e ha dimenticato che l’Islam ci obbliga come musulmani a rispettare le regole e la costituzione del paese non musulmano quando ci troviamo sul suo suolo. Gli esempi storici che ha portato Sartori, non corrispondono e non possono essere portati per spiegare  un fenomeno come l’integrazione oggi ove prevale la globalizzazione. Poi la conclusione quando considera  i musulmani di terza  generazione, in Francia ed in Inghilterra, infervorati e incattiviti, tesi  dalla quale si capisce il suo avvertimento agli elettori di stare attenti alla seconda generazione dei musulmani in Italia invece di mettere in discussione le politiche sbagliate di alcuni paesi sul tema dell’integrazione ed avvertire l’Italia, come stanno facendo Fini e tanti altri, di  prendere in considerazione il futuro del nostro paese facendo politiche costruttive per evitare qualsiasi conflitto sociale.

Oejdane Mejri, presidente dell’associazione Pontes dei Tunisini in Italia e redattrice di Yalla Italia:

In realtà, l’islam ha portato il suo contributo alla civiltà occidentale, malgrado tutti gli sforzi spesi oggi per dimenticarlo. Il mondo occidentale ha profondamente marcato lo spazio musulmano, in particolare attraverso la colonizzazione, e continua oggi ad influenzarlo certe volte per il meglio e altre per il peggio. Multipli correnti di scambio esistono tra i “due mondi”. La presenza di milioni di musulmani in occidente rende le sovrapposizioni ancora più dense. Esiste oggi, “qui” e “lì”, un’affluenza di correnti, di forze, di tendenze anche se dall’altra parte si esprimono spesso attraverso il linguaggio religioso –l’attaccamento culturale alla religione è una caratteristica dell’ “area musulmana”. Il dialogo – o il confronto – potranno avere luogo sia nelle alleanze sia negli scontri tra le forze di qui e di là.

Layla Joudè, redattrice di Yalla Italia e curatrice del blog “Gli altri siamo noi” sul sito della Stampa:

Per la prima volta qualche giorno fa mi sono sentita domandare da una signora, incuriosita dal mio nome,  se mi trovo bene in Italia. Sono nata in Trentino , e giuro, ne conosco il dialetto; ho il passaporto italiano; la bandiera nazionale Italiana, il Tricolore, è la mia bandiera. Ecco i primi tasselli della mia “italianità”. Ricordo che qualcuno non molto tempo fa aveva fatto dichiarazioni piuttosto fastidiose sulla nostra bandiera, confondendone l’uso. Questo qualcuno oggi è un nostro Ministro,membro del Parlamento. Speriamo che gli si siano schiarite le idee quando ha visto il tricolore issato all’entrata di Montecitorio e non della toilette. Forse è inutile girarci intorno, il problema è sempre lo stesso:  la mia Fede. Sono musulmana, o forse è meglio dire islamica, visto che ultimamente questo termine va tanto di moda.   Mio padre non mi maltratta e sono libera di vestire come voglio, mia madre è cattolica e non è stata costretta a convertirsi o a non andare più in Chiesa. Frequento l’università e pago le tasse puntualmente. Mi impegno in iniziative in cui credo per dare un contributo alla mia società. Mia, si lo ripeto, ne sono convinta.  Spesso mi sento ripetere: “Ma veramente sei musulmana?? non sembra!” . Rimango allibita e non comprendo mai il senso di questa domanda. Mi è capitato di leggere un articolo in cui veniva dichiarato che “L’Islam non è una religione domestica, ma un invasivo monoteismo teocratico. Integrarlo italianizzandolo è un rischio da non rischiare.”  Mi dispiace per chi ha queste convinzioni, ma io rappresento l’esempio dell’italianizazione dell’Islam, in carne ed ossa, senza bisogno di processi di integrazione grazie, lo sono già, e ve lo assicuro, ho anche il certificato di autenticità.  Lo ammetto, ci sono giorni in cui la diplomazia non fa per me, e vorrei semplicemente urlare “Questo è il mio Paese,questa è casa mia, che vi piaccia o meno”.  Sono musulmana, integrabile, integrata come volete voi, sicuramente fiera della propria identità, composta sia dall’essere italiana che nel credere in Allah e nel suo Profeta Muhammad. Nessun dubbio,  è una realtà , che esistano le Moschee o i minareti, che porti il velo o meno, questa sono. E’ un fatto da accettare, mettetevi  il cuore in pace.

Rassmea Salah, Redattrice di Yalla Italia: 

Chissà perchè non si accenna mai alle esperienze positive di convivenza pacifica fra musulmani cristiani ed ebrei…io ad esempio, nel mio piccolo, ne conosco un paio. Il primo fra tutti è la Comunità di Medina fondata nel 622 d.C dal Profeta Muhammad che fece redigere la semisconosciuta Carta di Medina che regolamentava i rapporti fra ebrei cristiani musulmani e sabei in termini di fratellanza. Poi, se la memoria non m’inganna, v’è l’esperienza dell’Al Andalus, la cosiddetta Spagna dei mori, dove gli arabi musulmani hanno vissuto per circa 8 secoli, prima che nel 1492 Isabella di Castiglia e Fernando di Aragona decidessero di espellerli tutti, assieme ai fratelli ebrei, naturalmente. Per non parlare poi della Sicilia dove ci sono ancora i segni della secolare coabitazione di musulmani e cristiani prima dell’arrivo di Federico II, amante della cultura arabo-islamica. Ma forse mi sbaglio, mi confondo, forse era solo frutto della mia fantasia…

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