Welfare

Caro Renzi, facci lavorare meno, lavorare tutti

Mentre il governo accelera sul Jobs Act, per bocca del vicepresidente Tassinari le Acli esprimono all'esecutivo le proprie preoccupazioni per far ripartire il mercato del lavoro: una nuova politica industriale, meno cuneo fiscale, contratto unico, più formazione e apprendistato ma anche più part time per favorire l'ingresso dei giovani

di Redazione

di Stefano Tassinari – vicepresidente Acli
Il disegno di legge delega varato dal Governo semplifica e rende più flessibili i contratti a tempo determinato e l’apprendistato. Sulle misure che riguardano contratti e flessibilità crediamo vada reinserito il ruolo della formazione nell’apprendistato. Occorre chiedersi se sia proprio l’assenza di flessibilità il problema: le imprese non assumono o assumono meno non per i vincoli, ma semplicemente perché non c’è lavoro da dare, perché l’economia è bloccata dalla domanda interna.
Si apra allora un patto sociale ampio su interventi che creino lavoro come Italia 2020: un piano di politica industriale centrata sull’innovazione e sul saper fare italiano, fondata sul lavoro vero, stabile e di qualità: ricerca, innovazione e infrastrutture che valorizzino e rilancino manifattura, made in Italy, green economy, mobilità sostenibile, agroalimentare, cultura, turismo, tutela del territorio, banda ultralarga, reti di imprese, sistema portuale, le specificità del nostro Mezzogiorno come porta d'Europa nel Mediterraneo…
Misure per “lavorare meno lavorare tutti” partendo dal detassare, invece degli straordinari, gli ingressi part time dei giovani a tempo indeterminato o dall’ingresso dei giovani a part time a fianco di lavoratori bloccati dalla riforma delle pensioni. Se non si redistribuisce il lavoro la rivoluzione tecnologica ridurrà sempre più anche il lavoro dei colletti bianchi. Ciò che manca veramente è la fiducia delle famiglie senza la quale non ripartono né l’economia né gli investimenti, e la fiducia delle famiglie è legata al numero di occupati stabili, su quanti non vivono solo alla giornata. Oggi lavorano stabilmente circa 1 persona su 3. Così non si va molto lontano.
Inoltre, è auspicabile che prosegua una politica di riduzione del cuneo fiscale. Tuttavia proprio le misure per la conciliazione potrebbero aprire anche a un taglio selettivo che si concentri su chi ha più bisogno di altri, evitando di fare parti eguali tra diseguali, prevedendo si possa far detrarre completamente alle famiglie con redditi medio-bassi i costi di chi assiste un anziano, una persona disabile o un bambino per far emergere e creare lavoro sociale (ripagandosi con maggiori entrate fiscali e previdenziali)
Il contratto a tutele progressive diventi unico. Va chiarito che non può trattarsi di un contratto da applicare in seguito ad altri, ma appunto di un contratto unico o prevalente. Un lavoratore non può fare tre anni da apprendista, tre anni di collaborazione a progetto, poi tre di tempi determinati e poi il contratto di inserimento, tutto con la stessa azienda. Così non si promuove una economia di qualità.
Le politiche attive devono essere anche preventive e non solo legate all’emergenza. Significa immaginare innanzitutto la Scuola come sistema di Istruzione e Formazione professionale che aiuta ad incontrare prima il mondo del lavoro e accompagna e sostiene la specializzazione e la riqualificazione del lavoratore durante tutto il corso della vita. In questo senso a ogni ammortizzatore va collegato un percorso di formazione, tirocini, ecc che aiutino a ricollocare e riqualificare, ma va anche immaginato un piano per alzare il livello di istruzione e qualificazione di chi ancora lavora, a supporto di processi di innovazione delle aziende. 
La Pubblica Amministrazione rispetti la Legge. Oltre a un piano di semplificazione e accelerata informatizzazione della PA, serve una normalizzazione secondo legge dei tempi di pagamento. Stessa cosa vale per il precariato che spesso cova nell’indotto della Pa e delle sue partecipate. E troppo spesso per spendere poco si lasciano crescere affaristi e organizzazioni che nulla hanno a che vedere coll'etica di impresa. Servirebbe introdurre una sorta di Responsabilità Sociale della Pubblica Amministrazione: chi paga in ritardo o consente compensi o non regolari o sotto soglie decenti, va punito e ne risponde anche personalmente.


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