Welfare

Caro papà, mi manchi tanto perché ti amo da morire

Una testimonianza tratta dal giornale "L'alba" del carcere di Ivrea racconta il dialogo tra il padre detenuto ed una piccola figlia.

di Ornella Favero

C?è una strana rubrica nel giornale L?alba del carcere di Ivrea, si chiama ?La rubrica dei nostri figli?. Le testimonianze che seguono, tratte da lì, sono di un padre detenuto che scrive a una figlia e di una piccola figlia che gli risponde. È una rubrica coraggiosa, anche se ci dà la sensazione di spiare dal buco della serratura, di penetrare a forza dentro alle vite delle persone che sono le più innocenti e le più ingiustamente condannate: quei figli che si ritrovano per lunghi periodi senza padri o senza madri, e per di più devono sopportare spesso anche l?isolamento, le ristrettezze economiche, il sentirsi ?guardati a vista? dalla gente che non gli perdona di essere figli di genitori ?sbagliati?.

Ornella Favero (ornif@iol.it)

A volte la rabbia ti fa fare delle cose che non vorresti mai fare, ma a volte la riflessione su un momento di rabbia, che ti ha fatto agire per istinto, può farti stare bene. Ho dato una educazione alle mie due figlie forse sbagliata!! Forse un po? troppo viziata… non so ma lo rifarei comunque. Ho cresciuto le mie due bambine allo stesso modo, senza mai avere delle preferenze per l?una o per l?altra: se era il compleanno di una, compravo il regalo anche all?altra e viceversa: probabilmente, sotto certi aspetti, questo atteggiamento potrebbe essere non molto educativo… soprattutto perché forse bisogna dare per ciò che ognuno si merita, sia riferito ai risultati scolastici sia agli altri aspetti generali della vita. Io questo non l?ho mai saputo fare, ho sempre dato alle miei figlie tutto quello che mi chiedevano; oggi sono consapevole che le mie figlie soffrono troppo per la mia lontananza e non possono più avere quello che davo loro, soprattutto materialmente; questo per loro è un doppio trauma, ma sono certo che l?amore che provo nei loro confronti mi consentirà in un prossimo futuro di rimediare.
Ho raccontato questo per introdurre una lettera di mia figlia di 5 anni, che mi ha scritto perché durante una conversazione telefonica nella quale mi aveva ripreso per avere scritto una lettera a sua sorella e di non avere scritto anche a lei, io, preso da tantissima rabbia, da tantissimo rimorso, e soprattutto dalla mia impossibilità a fare qualsiasi cosa interruppi la telefonata proprio mentre piangeva… cercavo di giustificarmi, di rassicurarla, di spiegarle, ma lei piangeva e non riusciva a smettere, gridandomi “perché sei lì?”… e così chiusi il telefono troncando la conversazione. Forse è stato un gesto troppo crudele. Le scrissi subito spiegando che non avrei più telefonato se lei, al telefono, piangeva … e così ho ricevuto la sua lettera.

Alfio Garozzo – carcere di Ivrea

Ed ecco la breve lettera della figlia, scritta a mano, poche parole e tanto dolore: “Ciao papà, mi dispiace che ho pianto al telefono e ti prometto che non lo faccio più e che mi manchi tantissimo. Io vorrei che tu continui a telefonare perché ti amo da morire. Ti abbraccio forte forte”.

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