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Caro Muratov, la Russia non potrà che continuare a confinare con l’Ucraina
Poche settimane fa Dmitrij Muratov: «La Russia e l’Ucraina non saranno mai più unite. Non ci sarà più nessun rapporto di fratellanza tra i due Paesi. La Russia non è più Europa». Non sono d'accordo bisogna piuttosto cercare di aiutare in qualche modo le persone e le iniziative di resistenza e opposizione al regime. Come farlo è una questione aperta. Forse si potrebbe pensare a canali segreti di sostegno "sotterraneo" da parte di persone e istituzioni occidentali in Occidente. Certo da parte dei democratici in occidente occorrerebbe una maggiore mobilitazione
Un noto canale di streaming ha proposto qualche tempo fa una serie interessante, “Liaison”. Senza spoiler, la serie parla della collaborazione e contemporaneamente della diffidenza tra i servizi segreti britannico e francese nel campo della cybersicurezza. Uno degli episodi è girato a Bruxelles. La scena di apertura inizia con la telecamera di un quadcopter che sorvola il maestoso edificio della Commissione Europea e, in un momento di tensione, la telecamera zooma per 2 secondi sul monumento al fondatore dell'UE, Robert Schuman. Ho pensato: che segno, che significato importante!
Secondo l’idea dei padri fondatori, Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide de Gasperi, con la collaborazione, l’uso comune delle risorse e la solidarietà l’Europa unita avrebbe potuto risolvere i problemi di diversità di vedute, di diffidenza e perfino di odio che avevano dilaniato l’Europa per secoli e che avevano portato alla catastrofe della Seconda guerra mondiale, con decine e decine di milioni di vittime. Così è stato, e oggi vediamo con i nostri occhi i successi dell’Europa unita. Certo, ci sono ancora molti problemi e molte contraddizioni, ma a nessun Paese europeo verrebbe in mente di mettersi a combattere con il proprio vicino per i confini
La Russia, nella follia del regime che la guida, ha deciso di mostrare all’Europa che nel XXI secolo la guerra per i confini non solo è possibile, ma necessaria.
Non si capisce cosa sia successo nelle teste degli occupanti del Cremlino. Il processo di integrazione tra la Russia e l’Ucraina stava procedendo abbastanza bene. Follia. Non c’erano e non ci sono basi razionali per questa guerra. L’unica cosa che sembra razionale è la coscienza ipertrofica del Governo che desidera, in assenza di qualunque piano di modernizzazione del Paese, tornare allo strano progetto del “ripristino dell’Unione Sovietica” e restare a tutti i costi al potere. La guerra permette tra l’altro di far sparire l’ammanco (per corruzione) di mille miliardi di euro dal budget dello Stato. “La guerra fa sparire tutto”.
Due settimane fa, durante una tavola rotonda tra rappresentanti dell’Unione Europea e della società civile russa in esilio, il premio Nobel per la pace, capo redattore della Novaya Gazeta Dmitrij Muratov (in cover) ha detto: “La Russia e l’Ucraina non saranno mai più unite. Non ci sarà più nessun rapporto di fratellanza tra i due Paesi. La Russia non è più Europa. La finestra sull’Europa è sbarrata, a quanto pare per sempre. La Chiesa ortodossa russa ha rifiutato il Dio del Nuovo Testamento. L'idea principale oggi, nella religione e nella propaganda, è che la morte è più importante della vita”.
Ma sia in Russia che in Italia si dice: mai dire mai. Certo, sono comprensibili l’amarezza e la disperazione di Dmitrij Muratov, ma è evidente che l’odierna tragica situazione non durerà in eterno. La Russia non può che confinare con l’Ucraina, così come non può che essere parte dell’Europa, non solo geograficamente, ma anche come spazio culturale, sociale e politico.
Nikolai Epplee, noto ricercatore nel campo della memoria storica e autore del best seller “Un passato scomodo”, nel numero della rivista Vita dedicato alla Russia parla della condizione attuale e del possibile futuro dei rapporti tra gli intellettuali russi ed europei, e della possibile collaborazione culturale e sociale: “Per quanto riguarda i russi emigrati all’estero la situazione è abbastanza positiva. Abbiamo visto che per loro iniziativa sono nati almanacchi artistici in lingua russa, riviste letterarie (come ROAR di Linor Goralik e Piataja Volna (La quinta onda) di Maksim Osipov) e case editrici indipendenti (Freedom Letters di Georgij Urushadze). E’ una testimonianza che la cultura russa è viva e cerca di comprendere con lucidità gli avvenimenti presenti. Io mi trovo in Europa e vedo che non esiste quella “cancellazione” della cultura russa di cui parla la propaganda di stato; c’è piuttosto il tentativo di capire che i cittadini russi (e certamente quelli che si trovano fuori dal paese) non sono collettivamente colpevoli dei delitti del regime russo.
Se parliamo invece di chi è rimasto e continua a lavorare in Russia, e non è favorevole al regime e alla guerra, le cose vanno decisamente peggio. Queste persone e i loro progetti si trovano in una condizione di doppia ombra – da una parte, vengono bloccati e costretti nel sottosuolo dal governo, dall’altra parte è difficile parlarne anche in Occidente perché significherebbe rivelarli anche al governo russo e metterli in pericolo. Dobbiamo dire che di iniziative di questo tipo ce ne sono moltissime e proprio loro avranno un ruolo decisivo nella riabilitazione della Russia e nel suo ritorno (attraverso il riconoscimento della sua responsabilità per i crimini commessi) alla piena appartenenza alla comunità internazionale, quando e se questa riabilitazione e questo ritorno saranno possibili. Per questo è importante cercare di aiutare in qualche modo queste persone e queste iniziative. Come farlo è una questione aperta. Forse si potrebbe pensare a canali segreti di sostegno "sotterraneo" da parte di persone e istituzioni occidentali in Occidente (come fece Russia Cristiana in epoca sovietica).
Un altro aspetto della stessa questione è il lavoro con l’opinione pubblica occidentale e con i politici occidentali, perché facciano pressione sul governo russo e in generale per attirare l’attenzione della comunità internazionale sugli avversari del regime attivi in Russia. Questo tipo di pressione ha già dimostrato la sua efficacia nel favorire il crollo delle dittature: basti pensare al ruolo della pressione internazionale nella caduta della giunta argentina e e nell’abolizione del regime di apartheid nella Repubblica Sudafricana. Oltre a questo, mi sembra molto importante che ci siano esempi di cooperazione di intellettuali e rappresentanti della società civile russi e ucraini, perché la frattura come è logico si registra anche in questo campo – e qui gli intellettuali e le istituzioni europee possono essere di grande aiuto. Un esempio in questo senso è stata l’anno scorso l’assegnazione del premio Nobel per la pace contemporaneamente ad attivisti per i diritti umani russi, bielorussi e ucraini. La difficoltà qui è che questi tentativi di cooperazione e anche semplicemente di compresenza in una stessa piattaforma o forum pubblici, sono contrastati non solo dalla parte russa, che adesso gli europei possono facilmente ignorare, ma anche dalla parte ucraina che in questo momento è molto difficile da ignorare. Del resto il compito degli intellettuali è sempre stato la ricerca di soluzioni non banali in situazioni non banali – e questo è proprio il nostro caso”.
Lo sguardo di Nikolai Epplee è dunque concreto e ottimista, pieno di speranza, con una prospettiva di incontro e di collaborazione. Il 9 giugno presso il Comune di Milano si è svolto un incontro tra i premi Nobel per la pace, il direttore di Memorial Elena Zemkova e un membro della direzione del centro ucraino per le libertà civili Mykhailo Savva. Ricordiamo che sono stati tre i vincitori, scelti insieme: Memorial Russia, l’attivista bielorusso per i diritti umani Ales’ Beljatskij e il centro ucraino per le libertà civili.
Il 16 maggio a Ginevra è stata ricostituita l’associazione Memorial Internazionale, chiusa dalle autorità russe, e i membri del consiglio direttivo di questo nuovo Memorial saranno tra gli altri, la storica Irina Scherbakova, (Russia – Germania), l’attivista per i diritti umani Evgenij Zacharov (Ucraina), il presidente di Memorial Italia, Andrea Gullotta.
Il 30-31 maggio a Roma, nel quadro della conferenza di MEAN, si sono svolti vari incontri con la partecipazione dei rappresentanti della società civile dei tre popoli, bielorusso, ucraino e russo. L’ottica dell’incontro dunque, proposta da Nikolaj Epplee, è reale, e ve ne sono già esempi concreti.
Vi è poi stato un grande segno di solidarietà internazionale, con la pubblicazione contemporanea avvenuta sul noto sito Meduza e sul Corriera della Sera di un articolo dello scrittore statunitense naturalizzato francese Jonathan Littell, a sostegno di Oleg Orlov, attivista per i diritti umani e co-fondatore dell’Associazione Memorial. Oleg Orlov, sotto processo dall’8 giugno, rischia cinque anni di carcere per “avere screditato le forze armate russe a più riprese” e per “aver definito la Russia uno stato fascista”. L’autore nel suo articolo fa una domanda fondamentale: “La Russia può essere considerata, oggi, uno Stato fascista? A mio avviso non ci sono dubbi. Ma com’è possibile, ci si chiede, che il Paese successore a quello che ha sconfitto il fascismo tedesco si sia lasciato conquistare a sua volta da questa ideologia?”
La risposta, scrive l’autore, era già contenuta nel romanzo del grande scrittore sovietico Vasilij Grossman, Vita e Destino, un romanzo con un destino complicato ma ben conosciuto in Italia, noto invece in Russia solo tra gli intellettuali. Paradossalmente in Russia è stata girata una serie tratta proprio da questo libro, trasmessa in prima serata e che viene considerata una delle migliori degli ultimi vent’anni. Ma il regista Serghej Ursuljak, nella sua ottima descrizione della tragedia, non si ferma assolutamente sulle cause che hanno dato origine alla rivoluzione, alla guerra civile, alla collettivizzazione e alla repressione di massa. Nessuno ha riportato l’importante dialogo ricordato da Littell nel suo articolo tra Liss, ufficiale delle SS, e il militante bolscevico Mostovskoj. Non è stato riportato nel film. È scomparso, e con lui il paragone tra l’ideologia nazista e quella comunista, così importante per Grossman. Evidentemente il popolo russo non ha ancora elaborato la tragedia del suo passato sovietico, l’orrore dell’ideologia sovietica, indistinguibile da quella nazista nella negazione della persona. E come scrive Nikolai Epplee “con questa guerra (in Ucraina) la nota tesi per cui coloro che non vogliono imparare la lezione del passato sono condannati a ripeterlo, trova la sua ennesima conferma”. Il testo completo dell’intervista è disponibile sul numero di giugno di Vita.
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