Politica

Caro ministro Orlando, guarda al capitale straordinario della comunità operosa e di cura

Andrea Orlando ha una grande occasione e una grande responsabilità: dimostrare che si possa delineare un disegno nazionale sulle Politiche sociali. Ci attendiamo una svolta profonda. Quella di affermare concretamente che l’azione del governo, o meglio, l’azione della politica, debba misurarsi con l’obiettivo di offrire itinerari di riscatto ai cittadini più fragili. L'invito di un collega di partito

di Pierfrancesco Majorino

Andrea Orlando ha una grande occasione e una grande responsabilità: dimostrare che si possa delineare un disegno nazionale sulle Politiche sociali. Tema trattato da molti, a torto, come secondario. Se fossi in lui la prima cosa che farei è andarmi a rileggere le belle pagine scritte da Livia Turco, che da ministra del welfare ha realizzato un solidissimo impianto di Riforme (e della Legge più importante, la 328 sull’Assistenza, abbiamo appena festeggiato i vent’anni).

Poi cercherei dalle parti del Terzo settore e delle amministrazioni locali i buoni percorsi, le buone pratiche, le strade capaci di mostrare che “si può fare”: si può avere un progetto pubblico per sostenere e promuovere la persona, si può definire un mosaico realizzato grazie ai tanti tasselli che “fanno” un sistema di garanzie e opportunità capace di non lasciare nella solitudine donne e uomini, specie quelle e quelli più ragili. Si può, si deve, in altre parole, nell’era della pandemia, investire su di una risorsa enorme: il valore del legame, la spinta a fare “comunità”, a stare nella comunità.

Una delle primissime mosse del neoministro lasciano ben sperare: aver coinvolto nella strategia per contrastare le povertà Chiara Saraceno. È certamente un messaggio, in sé, rassicurante dopo che proprio sul tema cruciale del sostegno al reddito ne abbiamo viste e sentite di ogni. La questione della modifica del Reddito di Cittadinanza, o del suo miglioramento, (se si preferiscono queste parole) non è banale. Tuttavia mi auguro che non ci si limiti a tale ambito, in qualche modo reso obbligato anche dal confronto e dal conflitto tra i partiti. Offrire strumenti per godere di boccate d’ossigeno soddisfacenti in un momento come quello che viviamo è certamente essenziale, lo era ieri, lo sarà domani. Ma dobbiamo dire – e non averlo fatto è stato l’enorme limite delle politiche espresse in questa Legislatura – che non basta assolutamente comprendere quanto e come “erogare” sul piano economico. Ci sono aree di vulnerabilità che vanno affrontate attraverso una ritrovata cultura dei servizi (i quali nel sociale possono funzionare solo se il pubblico viene aiutato ad innovare e si va alla ricerca delle migliori energie presenti nel privato), dell’ascolto, della mobilitazione.

Tutte cose assolutamente non percepibili da tempo. E l’esito bizzarro e barocco della vicenda della riforma del Terzo Settore (potenzialmente una delle scelte più coraggiose compiute sin qui) lo dimostra. Ecco, allora, che senza aspettarsi miracoli attualmente indisponibili e senza sottovalutare gli enormi limiti offerti dal “contesto”, da Orlando ci si deve attendere una svolta profonda. Quella di affermare concretamente che l’azione del governo, o meglio, l’azione della politica, debba misurarsi con l’obiettivo di offrire itinerari di riscatto. Facendo entrare dalla porta principale dei palazzi romani la cultura – pur disordinata, rumorosa, contradditoria – che sotto la cenere dei territori ha portato avanti cibo consegnato agli anziani soli, centri per le persone senzatetto, offerta di assistenza domiciliare, progetti delle comunità di strada, servizi antiviolenza, esperienze della salute mentale, riappropriazione degli spazi pubblici inutilizzati a scopo collettivo (in questo quadro ricordo la vicenda incredibilmente rimossa, spesso pure dalle amministrazioni locali più illuminate, riguardante i Beni confiscati alle mafie presenti sul territorio: una rete dirompente da irrobustire e sulla quale investire risorse derivanti dal Next Generation EU).

Per concludere. Non sappiamo prevedere quanto durerà la morsa della pandemia né possiamo fino in fondo immaginare quale sarà l’impatto dello tsunami economico e sociale che progressivamente si abbatterà sui nostri territori. Tuttavia possiamo già dire che c’è un gigantesco bisogno di far incontrare la domanda, magari perfino inespressa, di chi si sente di non farcela e la reazione che solo una comunità operosa può garantire. Una comunità operosa (costituita da assistenti sociali, educatori, esperienze dell’associazionismo, della cooperazione, dell’impresa sociale e del profit più illuminato che fa welfare aziendale) che non può essere ricordata dalla Politica solo periodicamente. Poiché in essa, invece, risiede un “capitale straordinario” da mettere propriamente al lavoro e su cui investire attenzioni e risorse. Il contrario delle briciole di retorica a cui proprio il “sociale” è stato troppo spesso abituato.

*Copresidente dell’intergruppo sulla lotta alle povertà del Parlamento europeo

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