Volontariato

Caro Matteo, rendere obbligatorio il Servizio Civile sarebbe un autogoal

Il segretario del Pd è tornato sulla sua proposta di rendere obbligatorio il Servizio Civile. Per Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano, si tratta di un errore: «Non verrebbe capito dalle nuove generazioni e potrebbe anche produrre una reazione contraria»

di Lorenzo Maria Alvaro

Matteo Renzi, durante "Democratici nati", l'appuntamento per festeggiare i dieci anni del Partito democratico, è tornato a proporre un servizio civile obbligatorio. Queste le sue parole «Penso e credo che noi dovremmo mettere in campo, per la prossima legislatura, una proposta per cui ciascuna giovane donna e ciascun giovane uomo possa fare almeno un mese di servizio civile obbligatorio. Sono orgoglioso di quanto fatto ma, oltre che per una stagione dei diritti è ora che il Pd si caratterizzi anche per una dei doveri». Ne abbiamo parlato con Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica di Milano.


Cosa pensa di questa proposta?
Partiamo da una premessa: il servizio civile svolto da persone preparate, motivate e messe nelle condizioni di valorizzare la loro capacità di agire a favore del bene collettivo è una esperienza che più viene resa universale e meglio è per tutti. Deve poter essere una esperienza di valore personale che, svolta “con” e “per” gli altri, genera valore sociale. Detto questo, la proposta di servizio civile obbligatorio senz’alto parte da buone intenzioni, ma non penso sia il modo migliore di far vivere ai giovani come valore tale esperienza.

Perché?
In primo luogo perché è un controsenso immaginare l’obbligatorietà per qualcosa che è su base volontaria. Temo che non verrebbe capito dalle nuove generazioni e potrebbe anche produrre una reazione contraria. Le nuove generazioni sono molto insofferenti a ciò che è imposto dall’alto e a tutto ciò che si rivolge ad esse paternalisticamente. Il messaggio che ne deriverebbe è il seguente: “siccome voi non siete in grado di capire l’importanza e sceglierlo spontaneamente, allora il servizio civile vi costringiamo noi a farlo (o ad “assaggiarlo” per un mese) così scoprite che vi fa bene”. Ecco, questo approccio non funziona, tanto meno in un quadro già di profonda sfiducia nei confronti delle istituzioni e di frustrazione per scelte pubbliche che hanno aumentato squilibri generazionali in termini di diritti e risorse. Suona poi, effettivamente, come una presa in giro presentare il servizio civile come una “possibilità” offerta che poi però diventa una “imposizione” per legge.

Che pro e che contro vede in questa proposta?
Il “pro” sta nel riconoscimento dell’importanza del servizio civile e nell’impegno a volerlo rendere universale, ovvero una esperienza per tutti. Oggi il riconoscimento della sua utilità è infatti più forte tra chi ha maggiori risorse culturali di partenza, ma il beneficio maggiore di tale esperienza lo ottiene chi parte da basi meno solide, per questo è importante che il servizio civile riesca a coinvolgere con successo i giovani di tutte le provenienze sociali. Il “contro” sta nel fatto che per coinvolgere i giovani è necessario offrire ad essi un’esperienza di valore, da far arrivare con il messaggio giusto e dimostrando poi con i fatti che si tratta di un’attività che arricchisce. Tutto ciò che si rivolge ai giovani ha successo solo se viene costruito con loro e ne stimola, dal basso, il protagonismo positivo. L’aspetto debole della proposta sta nell’imposizione per legge ma anche nella durata di un mese, che appare del tutto insufficiente. Il servizio civile non è infatti volontariato occasionale, ha bisogno di una prima fase di preparazione adeguata e poi di un’azione sul campo di significativa durata per dare i suoi frutti.

C’è da dire però che secondo un'indagine di Swg gli indici di gradimento del non profit sono in crescita specie fra i giovani. Inoltre è provato che il suo impatto sociale è molto rilevante. Vista così l'obbligatorietà potrebbe essere in effetti un modo per sfruttarne a pieno le potenzialità?
La buona politica dovrebbe mettere i desideri dei cittadini nelle condizioni di realizzarsi e produrre valore sociale. Non invece trasformare ciò a cui si vorrebbe andare incontro come desiderio, qualcosa da cui difendersi come imposizione. I dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo evidenziano come la grande maggioranza dei giovani sia ben disposta a fare una esperienza che combina arricchimento personale e utilità sociale, ma vivendola come scelta non come costrizione. I giovani hanno bisogno di essere aiutati e incoraggiati a fare scelte di valore sentite come proprie. Serve motivazione ed anche entusiasmo per vivere in modo pieno il servizio civile, se manca l’aspetto della volontarietà si rischia invece di essere indotti a farlo con il minimo impegno richiesto. Le nuove generazioni italiane dovrebbero poter trovare nel servizio civile l’ambito in cui esercitare la capacità di essere risorsa attiva per il benessere del paese. La maturazione di una visione positiva del poter agire per il bene comune è l’eredita più profonda e rilevante che tale esperienza può lasciare sul percorso di vita successivo.

Nel 2017 sono stati oltre 100mila i giovani che hanno fatto domanda per il servizio civile, ma in base alle risorse disponibili solo la metà di loro ha fatto, sta facendo o farà questa esperienza. In sostanza la domanda supera l'offerta. Ci sono le risorse per renderlo obbligatorio per tutti?

Il rischio è quello di allargare quantitativamente il numero di chi fa il servizio civile, ma – per le ampie risorse richieste – trovandosi a rivedere verso il basso la qualità, a partire dai tempi e dalla preparazione. Va allargata quindi progressivamente la platea ma per offrire davvero qualcosa di qualificante e che viene scelto come impegno di valore. Con particolare attenzione a chi proviene dalle classi sociali più basse e prevedendo una valutazione rigorosa dell’impatto che tale esperienza ha sulle competenze sociali e trasversali di chi lo svolge. Fare un’esperienza breve, imposta, e senza un riscontro oggettivo del rafforzamento ottenuto in termini di life skills (saper essere e fare con gli altri), rischia di creare frustrazione e di far svalutare il servizio civile: sarebbe il peggior risultato possibile per il giovane e per la collettività.


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