Non profit
Caro don Ciotti, chi non dice no alle sale gioco è ancora complice?
Pochi mesi fa, il fondatore del Gruppo Abele e di Libera dichiarava: "chi non dice no alle sale gioco è complice". Oggi, che Libera e il Gruppo Abele figurano tra i firmatari di un accordo con i gestori del business dell'azzardo legale e, di conseguenza, anche di quelle sale gioco, don Ciotti è ancora della stessa opinione?
di Marco Dotti
Legalità è diventata una parola vuota, persino fastidiosa per il carico di nulla che si porta appresso. Lasciamo stare l’intrigo istituzionale che lo riguarda, ma registriamo un fatto: l'esplosione della retorica legalista è attestata anche dalle parole dell'ex sindaco di Napoli de Magistris, dimissionato dal Ministro dell'Interno, che ha testualmente parlato di «legalità mafiosa» o di mafia nella legalità.
Legalità è una parola vuota, una di quelle parole che, avrebbe detto l'Alice di Lewis Carroll, si gonfiano d'aria. Si gonfiano e si rigonfiano, eppure non scoppiano mai. Ma non viviamo nella Wonderland di Alice e l'Italia non è un parco giochi con conigli bianchi. Ci sono i cappellai matti, questo è vero, ma qui le parole scoppiano come palloncini, al minimo attrito con la realtà.
Se ne è accorto anche un uomo attento ai sottili sommovimenti della realtà, don Luigi Ciotti che, nella primavera scorsa dichiarò a chiare lettere che dovevamo farla finita con tutta questa legalità parolaia. La realtà è un'altra cosa.
La legalità declinata nei termini dell'azzardo ha eretto i suoi idoli, intere città (Las Vegas) e trasformato interi paesi, come l'Italia dove grazie a un sottile escamotage linguistico nel 2004 si modificò ad arte il vocabolario istituzionale introducendo (art. 110 Tulps) l'espressione "gioco lecito".
Da un paio d'anni l'industria che specula sulla speranza parla, accortasi della sbornia di legalità parolaia che ha colpito epidemicamente gli intellettuali italiani, ha dismesso l'aggettivo "lecito", iniziando a parlare di "gioco legale".
In un'intervista del maggio scorso, interrogato su questo paradosso, alla domanda su che cosa sia azzardo, don Luigi Ciotti rispondeva:
«Il punto credo non sia definirlo , ma prendere coscienza che non è – o non è più – un gioco. È diventato ormai, in troppi casi, un furto di speranze, di dignità, di libertà. Un dramma per molte persone e molte famiglie. Un’illusione pagata a duro prezzo e incentivata con mezzi e metodi che poco hanno a che fare coi principi di un’etica pubblica, con il dovere di tutelare la salute e anche la dignità economica delle persone».
Don Ciotti invitava inoltre a dire di no con queste parole, che a me paio chiare e precise: «chi non dice no alle sale giochi è loro complice».
Don Ciotti si riferiva a coloro che, spinto da necessità, affittano o cedono locali a professionisti del business dell'azzardo legale. Ma il discorso si deve limitare a loro, o va anche a chi, invece, prende accordi non con due proprietari di macchinette, ma con il vertice della piramide di questo business?
Di pochi minuti fa, inoltre, l'intervista concessa a Luca Saviano del Piccolo di Trieste, in cui Luigi Ciotti ribadisce: «la crisi è anche etica e culturale. Stiamo assistendo a una fragilizzazione dei servizi sociali, a un aumento della dispersione scolastica e a una crescente analfabetizzazione di ritorno. Le mafie dispongono di enormi capitali e in questo periodo storico aumentano le occasioni di infiltrazione in settori economici strategici. Cresce la presenza della criminalità nei grandi appalti, nel settore agroalimentare, in quello delle fonti rinnovabili. Si continua a investire nelle sostanze stupefacenti, nello sfruttamento della prostituzione, nell’usura e nel gioco d’azzardo».
Cresce la criminalità nella legalità. Anche nella legalità. Per questo ci stupiamo, oggi, di vedere il nome di Libera e del Gruppo Abele tra quelli che don Zappolini dice di aver rappresentato firmando un patto con chi su quelle sale gioco ha fatto sistema: Confindustria Sistema Gioco.
Non credo che don Ciotti abbia cambiato opinione, da maggio a oggi o da ieri a oggi. Ma credo sia doverosa un chiarimento o una smentita in proposito.
Libera e Gruppo Abele hanno delegato don Armando Zappolini alla firma? Hanno partecipato al tavolo? Oppure non c'entrano nulla?
Dall'ufficio stampa di Mettiamoci in Gioco, la campagna di cui è portavoce don Armando Zappolini, ci hanno dato i nomi di chi ha partecipato all'accordo e tra questi vi è il giornalista di Libera Daniele Poto, autore dei dossier Azzardopoli.
Quindi Libera è parte piena e consapevole di questo accordo? Accordo che, ricordiamolo, prevede un preciso slittamento semantico del termine azzardo, riunioni segrete e una buona dose di buone intenzioni farcite di nulla e di parole vuote. Una su tutte, quella legalità da cui don Ciotti ci ha messi in guardia. Don Zappolini, in un'intervista concessa a Vita, ha d'altronde dichiarato che lui firmava come portavoce della Campagna Mettiamoci in Gioco ha fatto regolari convocazioni e mandato messaggi, quindi… Quindi tutti dovrebbero fino a prova contraria essere consenzienti e informati.
Discernere è tutto, diceva Sant'Ignazio. Iniziamo a farlo?
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