Sostenibilità

Caro-casa, un consiglioai Comuni per invertire la rotta

parliamone

di Redazione

A.A.A. Piccola casa cercasi da fidanzati prossimi al matrimonio. A.A.A. Sono single, cerco monolocale per staccarmi a trent’anni suonati da mamma e papà. Peggio per loro! I prezzi di acquisto sono sempre più inavvicinabili. E c’è pure l’aggravante: la quasi impossibilità di contrarre un mutuo se, come accade tanto spesso ai giovani, non si ha un lavoro stabile, a tempo indeterminato (a proposito, che fine stanno facendo le proposte di legge sugli “ammortizzatori sociali”). È imperativo, allora, volgersi al mercato delle locazioni. Dalla padella alla brace: un monolocale appena dignitoso, e non certo in zona centrale, in una città medio-grande non si trova a meno di 400/500 euro al mese.
E così il mercato esiste e funziona solo per gli abbienti. “Fallisce” per tutti gli altri. Un fallimento sociale ed etico, anzitutto, ma anche economico: se è vero, come è vero, che la creazione di nuovi nuclei abitativi determina e stimola di per sé ulteriori consumi e quindi agisce come sostegno della domanda in diversi settori (elettrodomestici, mobili). Si tratta di un fallimento su larga scala, che investe un alto, altissimo numero di cittadini ben oltre le consuete “categorie” di indigenti con qualifica per l’accesso alle cosiddette case popolari, e che investe, ormai, il cosiddetto ceto medio.
Eppure, negli ultimi anni, la lievitazione dei prezzi dei suoli e delle costruzioni ha ingigantito profitti e rendite, concentrando la nuova attività edilizia verso le fasce più abbienti di inquilini e proprietari.
Occorre un urgente intervento riequilibratore: Milano, ad esempio, ha un fabbisogno di almeno 20mila alloggi per chi ha un reddito medio-basso. E poiché vengono consegnati circa 1.400 alloggi l’anno, al ritmo attuale chi si trova verso il basso della lista d’attesa aspetterà dieci-anni-dieci per avere una casa di 40-50 metri quadri! Che fare? I Comuni, si dice, hanno le casse semivuote. Non importa. Come si accollano gli oneri di urbanizzazione a chi chiede una licenza edilizia per costruire nuovi alloggi da vendere o affittare, così a costoro potrà chiedersi, da parte appunto dei Comuni, di destinare una quota, ad esempio il 10% del complessivo volume da costruire, ad alloggi che il proprietario darà in locazione al Comune a un canone ridotto e che il Comune stesso “trasferirà” ad inquilini a basso reddito, con opzione di acquisto. Il costruttore non perde la proprietà, rinunciando solo, per una parte minore, a un affitto ed eventualmente, poi, a un prezzo di vendita “di mercato”. Ma si rifarà senz’altro sull’altro 90%. Questa soluzione sembra equilibrare i vari interessi, senza scoraggiare gli investimenti, consentendo di combattere il caro-casa, forse l’espressione più grave del caro.vita che aggredisce masse crescenti di cittadini.
(III-fine)


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