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Caro Beppino ti chiedo scusa
Lettera aperta a Beppino Englaro: Eppure l’immagine della Sua faccia resterà impressa per sempre in me, non meno di quella di Eluana
Carissimo Beppino,
l’altra sera, alla stazione di Lambrate, alcuni ragazzi distribuivano un volantino che conteneva queste parole: “La morte di Eluana urge come un pungolo: come ciascuno di noi ha collaborato a riempire di senso la sua vita, che contributo ha dato a coloro che erano più direttamente colpiti dalla sua malattia, cominciando da suo padre?”
In queste parole, così nuove rispetto a tutte le parole che sono state dette in questa tragica occasione, c’è la ragione per cui io vorrei chiederLe perdono. Perdono di tutte le parole che ho detto, pensato e scritto a proposito di Sua figlia e di questo immenso dolore, che ha toccato tutti: parole che non tenevano conto della domanda di quel volantino, ma piuttosto delle mie persuasioni, delle mie posizioni di partenza.
Io facevo parte di quelli che non erano d’accordo con Lei, e, se questo può significare qualcosa, continuo a non essere d’accordo. Il fatto è che questo, ossia l’accordo come il disaccordo, non ha più nessun senso. L’amarezza che resta in tutti noi è la stessa amarezza, quale che fosse la posizione, lo schieramento di partenza. Adesso si tratta di imparare da questa amarezza, di capire cosa ha da dirci.
La vista della gazzarra avvenuta in Parlamento dopo la notizia della morte di Eluana, con tutta questa gente incapace – perfino di fronte alla morte – di liberarsi dalle logiche di schieramento (e tanto più incapaci quanto più si davano toni di superiorità) mi ha addolorato, perché ho capito che, in un modo o nell’altro, in quella gazzarra c’ero anch’io, che quella gazzarra non era altro che la conseguenza di una gazzarra che c’era in me e in tanti come me, di un pasticcio fatto di Valori Irrinunciabili, di Principi Inviolabili, di battaglie civili e di tonnellate di pregiudizio.
Di questo vorrei chiederLe perdono, caro signor Englaro: di aver pensato solo alle mie idee (o a quello che chiamo con questo nome) e di non aver pensato innanzitutto a Eluana, alla sua famiglia e a Lei.
Eppure l’immagine della Sua faccia resterà impressa per sempre in me, non meno di quella di Eluana: perché Lei somiglia troppo a quello che c’è di più vero in tutti noi, ossia la nostra povertà, il fatto che siamo dei poveracci, dei poveri cristi.
Guardo i miei figli ormai grandi, ma dei quali conservo in me ogni momento, fin da quando li vidi uscire dal ventre della loro mamma. Guardo la loro mamma, cioè mia moglie, che amo con tutto me stesso. E mi domando: cosa sono io per loro? Un signore potente? Un padrone? Una persona capace di provvedere in tutto e per tutto al loro destino? No, di fronte a loro io non sono niente. Sono solo un poveraccio che ne fa una giusta e tre sbagliate.
Io sono cristiano. E un cristiano sa o dovrebbe sapere che l’uomo non è capace di produrre la verità, e che la verità è un puro dono. La fede è una certezza, sa lottare fino alla morte ma non accampa pretese, non agita principi astratti, è libera e lascia liberi gli altri, come fece Gesù in tutta la sua vita: altrimenti non è fede, ma solo ideologia.
Ma lo stesso vale per chi non crede, per gli atei, gli agnostici, i liberi pensatori. Le nostre parole hanno senso solo se s’incarnano in quello che noi siamo: e noi siamo innanzitutto questa piccola cosa, che un nulla basta ad annientare.
Quando questi limiti vengono dimenticati e i nostri discorsi restano di proprietà delle nostre ideologie, delle nostre utopie oppure delle leggi e dei magistrati (ricordo che le leggi e i tribunali non hanno niente di divino, ed esistono solo perché gli uomini non sanno mettersi d’accordo in altro modo), allora le parole perdono senso e si trasformano in armi contundenti.
Se in tutta questa faccenda ci fossero dei vincitori e dei vinti (il fronte pro-eutanasia contro il fornte anti-eutanasia) sarebbe per me una tragedia non meno terribile della tragedia che ha colpito Sua figlia: sarebbe solo la premessa per nuove tragedie.
In realtà abbiamo perso tutti, e questa è forse una notizia non del tutto cattiva, perché vuol dire che tutti possiamo imparare qualcosa affinché la nostra vita personale e l’intera società italiana diventino migliori, più umane.
Tutti siamo stati colpiti dalla Vostra storia: operai, contadini, artisti, intellettuali, insegnanti, impiegati, giornalisti, poeti, pubblicitari, imprenditori, politici, carcerati, poliziotti e delinquenti. Abbiamo reagito, qualche volta bene, il più delle volte male. Adesso che il tempo delle reazioni è finito, rimane il colpo subìto, con il quale dobbiamo fare i conti per poter compiere un passo oltre la quotidiana superficialità e chiederci in modo la nostra vita e il nostro lavoro possono essere più utili al bene di tutti.
La abbraccio forte, signor Beppino. Lei non sa chi sono, io invece l’ho vista tante volte, sui giornali e in tv, e le voglio bene. Mi piacerebbe, un giorno, poterLa incontrare, diventare Suo amico, e parlare con lei non solo di Eluana ma della vita che continua a esistere, delle piccole grandi cose della nostra vita, e di quello che continua a essere bello e degno di essere amato.
Suo
Luca Doninelli
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