Non profit

Caro Avvocato caro Romiti

Imprenditori abituati a far crescere i profitti possono aiutare il sociale anche nei bilanci sociali

di Riccardo Bonacina

Le responsabilità dei ricchi: avevamo titolato così lo scorso numero di ?Vita?. Un numero con un esteso dossier per spiegare come manager e capitani d?impresa siano sempre più chiamati a esercitare la responsabilità sociale, e con un ampio vademecum per cominciare a praticarla. Cercavamo di spiegare come sia sempre più urgente che ?i ricchi? sappiano raccogliere la sfida per la crescita di un Paese dove la disoccupazione resta a livelli drammatici e la povertà continua a crescere. Manager e imprenditori storicamente abituati a socializzare le perdite e le crisi debbono ancora imparare a socializzare i profitti e la crescita delle aziende. Sottolineavamo come ?la responsabilità dei ricchi? nei confronti di una società in debito d?ossigeno e di risorse si dovesse esercitare non più e non solo nel gesto dell?elemosina o della beneficenza, ma con scelte identificabili e leggibili fin nei bilanci delle società. Scelte per creare occupazione, in favore dell?ambiente, del territorio, della formazione e della riqualificazione professionale, scelte per la sicurezza degli ambienti di lavoro, progetti di utilità sociale. Siamo certi che se manager e capitani d’industria non sapranno presto capire la portata storica di questa sfida ci penserà la politica a socializzare i profitti con interventi forzosi, artefatti. E a perderci saremo tutti, ricchi o poveri, benestanti e operai, perché a essere mortificata sarà la nostra libertà e responsabilità rispetto al destino del Paese.
I segnali che giungono una settimana dopo il nostro dossier non sono incoraggianti. Agenzie di stampa e pagine economiche sulle assemblee degli azionisti e sulle relazioni dei primi mesi del ?98 traboccano di segni positivi riguardo la crescita di fatturati e profitti. Sappiamo che la Fiat ha realizzato nel ?97 un utile di 640 miliardi e nel primo trimestre ?98 un utile ante imposte di 655 miliardi. Sappiamo che il fatturato di Infostrada è cresciuto nei primi 5 mesi del ?98 del 169% o che l?utile della Lavazza è cresciuto del 32%. Ma se si vanno a leggere le relazioni d?accompagnamento ai bilanci o i verbali delle assemblee, più che i segnali di responsabilità che avevamo invocato ci pare d?udire il solito invocare l?extraterritorialità dei grandi affari, il solito fideismo nel mercato capace di autoregolarsi. Emblematico è stato in queste ore il rito laico che ha accompagnato l’uscita di Romiti dalla Fiat (con un premio speciale di oltre 105 miliardi) e il suo insediamento alla guida della Rizzoli-Corriere della sera e il discorso dell’avvocato Agnelli all?assemblea degli azionisti. Un rito che ha lasciato trasparire come per le grandi famiglie capitaliste italiane l?unica nozione di società sia ancora quella del ?ballo in società?. Un avvenimento di assoluto rilievo negli assetti democratici dell?editoria italiana come il trasferimento di Romiti in Rcs è stato così chiosato da Giovanni Agnelli: «Non potevo dirgli di no. Ha lavorato tanto, è ora che si diverta un po?». Non è questa l’idea di un ballo di società? E che dire dell’affermazione di Agnelli secondo cui «gli utili possono essere diseducativi se spingono ad adagiarsi»? È il solito vecchio paternalismo padronale di chi vuol tenere tutti sulla corda, manager e operai? Oppure la paura, più o meno inconscia, che qualcuno cominci a sostenere (magari Bertinotti) che gli utili e i profitti vanno socializzati? No caro avvocato, gli utili non sono diseducativi, è diseducativo il modo in cui li si impiega? ?

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