La scuola, a un mese dai banchi di scuola: quello che torna a fluttuarmi in mente è un testo fra i testi, pensato per non nascere da una traccia ma per essere autoprodotto, una specie di diario spontaneo, frutto di una piccola consegna fatta di quattro monosillabi – Da me a me – capaci di dare impulso e energia a brevi o torrenziali confessioni.
Ritornato così, nelle parole sincere di un mio alunno che abiterà altre aule, occuperà altri e più alti banchi:
“Non solo una lettera, più del modello standard con qualcosa di personale; non solo un brano privato e sentimentale, ma un grande e forse doloroso lavoro introspettivo che chiede a me e ai miei compagni una buona dose di consapevolezza.
Da me a me non è un tema scolastico, non è una fredda, inespressiva e anonima lettera. È abbattere il muro della ragione e sentirmi un po’ padrone dell’insieme di pregi e difetti che costituiscono la mia persona.
Non basta qualche domanda: l’eterno dubbio sul come-sono-fatto temo non sia abbastanza; è necessario guardarmi fuori e dentro, o meglio dall’interno all’esterno e viceversa.
Un lavoro fatto dall’altra parte di me: la mia coscienza (che sia grillo parlante o altro) che mi porta a essere analitico con me stesso.
Scrivere una lettera con identità di mittente e destinatario, intitolare il tutto non aver paura e correre di penna.
E forse la paura è quella di affrontare una battaglia persa in partenza perché contro il nemico più temibile… me stesso!
L’obiettivo? Vincere no di certo, ma dimostrare che si può abbattere l’esteriorità e scrivere di me con la stessa facilità di un testo descrittivo e la stessa passione di un testo poetico.
Questa traccia alla fine è diventata un tema, non tanto da scrivere, quanto da ricordare fino a convincere le parole ad insediarsi nella mia mente per rimanere lì, immobili, a testimoniare la fierezza della mia più grande vittoria chiamata… consapevolezza!”
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