Non profit

Cari stranieri, vi dò una lezione

di Maurizio Regosa

«All’inizio ho dovuto fare da traino, ora non è più necessario. Il meccanismo va avanti da solo. Se promuovi un’iniziativa come questa, poi tante persone ti vengono dietro». Eraldo Affinati minimizza. Se uno scrittore di grido lancia un’idea, è molto probabile che la proposta abbia seguito. Nello stesso tempo, però, l’autore de La città dei ragazzi è onesto: la scuola d’italiano per stranieri che ha “inventato” quattro anni fa e che gestisce con la moglie Luce ? la Penny Wirton ? ha da subito trovato una sua autonomia anche al di là della celebrità del fondatore.
Per rendersene conto basta andare un martedì pomeriggio in via San Saba, nel cuore dell’Aventino romano, attraversare la porticina al numero 19 e osservare giovani e meno giovani, studenti e volontari che confabulano in piccoli gruppi, celebrando un rito antico quanto pochi: la trasmissione di un sapere. «Un sapere molto pratico», sottolinea Affinati, «visto che per i ragazzi stranieri che sono nei centri di pronto intervento aspettando di andare nelle case-famiglia, saper parlare italiano è essenziale».

Basta la parola
Una consapevolezza che lo scrittore ha maturato grazie alla sua esperienza di insegnante, nella succursale dell’isitituto professionale Carlo Cattaneo che si trova nella Città dei ragazzi, comunità educativa fondata molti anni fa a Roma dal monsignore irlandese Carroll-Abbing. «La mia vocazione letteraria e quella pedagogica sono profondamente legate. Tutte e due si basano sulla responsabilità della parola. Sul prendersi cura dello sguardo altrui», precisa Affinati.
Del resto, è dagli sguardi altrui che gli è venuta l’idea di fondare la Penny, come la definisce in un lessico davvero familiare (sia lui che sua moglie si sono laureati con una tesi su Silvio D’Arzio, inventore, in un suo romanzo, del personaggio di Penny). «Nelle centinaia d’incontri che ho fatto per presentare il mio La città dei ragazzi presso scuole e associazioni culturali, vedevo grande entusiasmo e grande disponibilità. Tanta voglia di mettersi in gioco. Così ho pensato di creare questa struttura».
Trovati gli spazi ? nella parrocchia di San Saba appunto, che è gestita dai Gesuiti ? la macchina è partita («mettiamo a disposizione due pomeriggi la settimana: il martedì a San Saba, il giovedì andiamo nel centro Tata Giovanni, fondato da don Luigi Di Liegro») ed è diventata talmente autonoma da “generare” altre esperienze parallele. A Torino, ad esempio, nella biblioteca municipale del quartiere multietnico Barriera Milano; in Calabria, dove, grazie all’attivismo di un giovane, Marco Gatto, sono nate tante “Penny”. Caratterizzate, come quella romana, da una «totale assenza di formalità e burocrazia: è tutto basato sul volontariato e sulla volontà di accoglienza e di creare rapporti spontanei. Qui i ragazzi vengono volentieri perché si sentono ben voluti, non giudicati».

Aaa… sede cercasi
Umanità e calore che d’altro canto si sposano con il rigore didattico: «Le lezioni sono serie, calibrate, precise. Tengono conto delle caratteristiche dei ragazzi, alcuni dei quali sono analfabeti anche nella loro lingua, e sono impostate su un rapporto uno a due, uno a tre al massimo». Lo stesso Affinati ha scritto il manuale adottato in classe: Italiani anche noi. Corso di italiano per stranieri. Il libro della scuola Penny Wirton, edito da Il Margine nel 2011.
Si capisce che le aule siano sempre affollate. Che ci sia un costante bisogno di spazi («ora il nostro obiettivo è cercare di ottenere, magari in comodato d’uso, una sede fissa che abbia più ambienti»). Che i moltissimi volontari partecipino in modo costante. Docenti in attività, adulti in pensione, ma non solo: fra gli insegnanti anche studentesse liceali di seconda generazione, nate in Italia da famiglie arabe, che riescono perfettamente a relazionarsi ad esempio con i ragazzi arabi, dando loro un aiuto fondamentale. «D’altra parte», conclude lo scrittore, «ho coinvolto anche degli studenti del professionale: alcuni, particolarmente indisciplinati, li porto qui a fare volontariato. Li tratto alla pari e do loro una fiducia che è sempre ricambiata».

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