Politica
Cari Schlein e Salvini, a Rondine fatevi presentare Sabina e Kateryna
Elly Schlein oggi sarà a Rondine per incontrare i giovani studenti provenienti da Paesi in guerra. Lo stesso farà nei prossimi giorni Matteo Salvini. Noi a Rondine ci siamo stati, incontrando Sabina e Kateryna: russa e ucraina, ex nemiche che qui hanno imparato a sminare i cuori. Il racconto e il podcast
Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico, oggi sarà a Rondine per incontrare gli studenti dei Paesi in guerra e i responsabili dell’associazione. Lo stesso farà nei prossimi giorni Matteo Salvini, segretario nazionale della Lega. Entrambi hanno risposto così alla proposta di un nuovo dialogo tra i partiti, lanciata nei giorni scorsi da Rondine attraverso una lettera aperta del presidente Franco Vaccari dal titolo “Avversari sì, ma nemici mai”. Rondine ha invitato i segretari dei partiti ad impegnarsi per promuovere pace e dialogo, dentro e fuori i confini della politica: concretamente, per esempio, è stato chiesto che «ogni formazione di “parte” dei leader del presente e del futuro sia coniugata con una formazione “comune”. Cioè con la visione di una umanità integrale, la consapevolezza dei beni comuni, la sfida di vivere positivamente le differenze culturali e politiche che sempre generano i conflitti, facendo crescere le persone e le società, sulle fondamenta dei diritti umani». Il primo a rispondere all’appello è stato Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle. (SDC)
C’è un cielo plumbeo sopra Rondine, che non rende giustizia alla bellezza di questo borgo aretino, a strapiombo sull’Arno. Sabina si avvolge nella sciarpa, Kateryna le sistema i capelli. Parlottano in russo e ridono. «All’inizio Kateryna mi parlava solo in inglese. Quando mi ha permesso di parlarle in russo, ho capito che aveva iniziato a fidarsi di me», racconta Sabina.
Lei ha 28 anni, è di Samara, in Russia. Kateryna invece ha 23 anni ed è di Kyev, in Ucraina. Sono arrivate a Rondine nell’autunno 2022. «Se mi vede con in mano un libro in ucraino, Sabina si avvicina e prova a leggere nella mia lingua», aggiunge Kateryna. «All’inizio mi correggeva la pronuncia di ogni singola parola, ora è più paziente», replica Sabina. Ridono di nuovo. «Conosco il russo, ma per me era impossibile parlare nella stessa lingua dei soldati che nel mio Paese fanno cose orribili. In Sabina io vedevo solo l’etichetta della ragazza russa. Le cose sono cambiate quando ci hanno proposto di partecipare alla marcia per la pace in Ucraina, a Roma. Era il novembre 2022. Io volevo andarci, ma prima volevo vedere come reagivano i ragazzi russi. Sabina è stata la prima a dire che ci sarebbe andata. Lì ho capito che anche lei non sopporta la guerra, proprio come me. Da quel momento l’ho vista come una persona, non più come un nemico».
Conosco il russo, ma per me era impossibile parlare nella stessa lingua dei soldati che nel mio Paese fanno cose orribili. Poi Sabina è stata la prima a dire che sarebbe andata alla marcia per la pace in Ucraina. Lì ho capito che anche lei non sopporta la guerra, proprio come me
Kateryna, 23 anni, di Kyiv (Ucraina)
Trasformare il conflitto
Nemici: il titolo per entrare a Rondine è questo. Qui non si tratta tanto di mettersi in mezzo a un conflitto che riguarda altri, quanto di starci. Dentro un conflitto di cui non sei responsabile, ma che è già tuo. Starci però in una maniera differente, decostruendo l’idea – anzi l’inganno – del nemico. «L’obiettivo di Rondine non è la risoluzione del conflitto, ma la sua trasformazione creativa», spiega Valentina Pierucci, responsabile del programma World House di Rondine. «“Soluzione” implica che il conflitto sparisca, ma siamo consapevoli che il mondo è complicato e complesso. Quello che caratterizza Rondine è l’essere un’esperienza relazionale immersiva: stare tutto il giorno insieme alla persona che la storia ha etichettato come il tuo “nemico” e capire che il suo cuore si spezza come il tuo. Noi ricostruiamo relazioni, relazioni che si sono ammalate per colpa della storia: cambiando il paradigma delle nostre relazioni, si può cambiare anche il fuori. La dimensione politica, per Rondine, è il passaggio dall’io al noi».
Relazione è una delle parole-chiave a Rondine. Franco Vaccari, il fondatore, spiega che «come la mano ha un dorso e un palmo, così la relazione ha un retro che si chiama conflitto. Se ci perdiamo questo legame, il conflitto degenera. Allora la concretezza di Rondine qual è? Ripartire dalle relazioni. Le relazioni aprono sempre una dimensione politica, perché la relazione è la costruzione di un noi che non è la somma di me più te, ma apre a qualcos’altro». In questo momento sono 25 i giovani ospiti della World House. Tutti provengono da paesi segnati da un conflitto, in alcuni casi violento e particolarmente caldo. Ci sono tre ragazzi russi e tre ucraini, ma anche due israeliani e tre palestinesi. «Curiamo le persone, rispettando silenzi e fatiche. Una ragazza si è presa una pausa per qualche tempo, altri prendono il tè insieme tutte le sere: la persona più distante è diventata la più vicina perché è quella che ti può capire maggiormente, perché vive lo stesso tuo dolore», dice Pierucci. In venticinque anni in questo piccolo borgo sono passati ormai 250 giovani: sono le “rondini d’oro”, che ora volano in tutto il mondo, germi di una nuova leadership di pace.
Guardare in faccia il dolore
La Cittadella della Pace nasce da un’intuizione di Vaccari, che nel 1988 – in piena guerra fredda – scrisse una lettera a Raissa Gorbačëva, aprendo così un dialogo con Mosca. Qualche anno dopo, nel 1995, gestì la complessa mediazione di pace tra la Russia e la secessionista Repubblica di Cecenia, conquistando la fiducia di entrambe le parti. Quando gli chiesero di “formare alla pace” dei giovani russi, ottenne che a Rondine venissero anche dei ceceni. Era il 1997, ma la prima esperienza fallì davanti alla lavatrice: «I ceceni rifiutarono di lavare le loro mutande e i loro calzini insieme a quelli dei russi», ricorda Vaccari. «È importante questo dettaglio, perché si tratta dello sporco più intimo a contatto con le parti più intime, una metafora meravigliosa. Mi chiesero di comprare un’altra lavatrice e io rifiutai. I ceceni se ne andarono. Mesi dopo, poiché al progetto ci credevamo in tanti, tornai in Cecenia per incontrare altri giovani interessati al percorso. A tutti chiesi se erano disposti a lavare le loro mutande insieme a quelle dei russi. Sembravo un pazzo. Ma li trovai».
Sogno un centro per giovani russi e ucraini, dove fare arte, teatro, danza e scrittura. Ci sto lavorando con una ragazza ucraina. Qui in Italia, certo: nei nostri Paesi in questo momento è impossibile. Bisogna ragionare partendo dal “passo possibile”
Sabina, 28 anni, di Samara (Federazione Russa)
Il dolore qui è un tema centrale. Si cerca di vivere la lezione di Liliana Segre, grande amica di Rondine: non essere indifferenti al dolore dell’altro. «È difficile, perché per condividere il proprio dolore bisogna prima di tutto aver fiducia nell’altro, non avere paura di mostrarsi vulnerabili», spiega Sabina. Kateryna aggiunge che «i missili, i bombardamenti, gli attacchi… Quando sono arrivata, pensavo che aver vissuto tutto questo mi rendesse “più meritevole” di altri. Poi parlando con Sabina ho capito che anche lei ha un dolore, per quanto diverso. Non ha senso comparare i dolori, ma una cosa è certa: Sabina il mio dolore lo può capire ed io il suo». È poco o è tanto? È qualcosa. «All’inizio mi faceva stare male il fatto di non poter far niente sul conflitto nella sua dimensione internazionale, mi aspettavo strumenti di peace keaping. Poi ho capito che il livello personale in realtà è potentissimo: se io e Sabina possiamo costruire una relazione, questo è già una speranza». Quando a giugno finirà il percorso a Rondine, Kateryna desidera lavorare con i rifugiati ucraini in Italia, per aiutarli a dare parola al loro dolore. Sabina invece pensa ad un centro per giovani russi e ucraini, dove fare arte, teatro, danza e scrittura. Sta lavorando al suo progetto insieme a Valeria, ucraina. «Qui in Italia, certo: nei nostri Paesi in questo momento è impossibile. Bisogna ragionare partendo dal “passo possibile”».
Parlando con Sabina ho capito che anche lei ha un dolore, per quanto diverso. Non ha senso comparare i dolori, ma una cosa è certa: Sabina il mio dolore lo può capire ed io il suo
Kateryna
La dimensione politica e l’impatto
La dimensione politica di Rondine allora qual è? Vaccari ama dire che Rondine non è equidistante, bensì equicoinvolta. Coinvolta con le persone, la loro carne e il loro sangue. La dimensione politica di Rondine sta nei progetti che gli ex studenti realizzano in giro per il mondo: una ragazza è diventata parlamentare in Armenia, un altro ci ha provato ora in Sierra Leone. C’è chi ha aperto il primo coworking della Georgia e chi in Bosnia lavora sul dialogo interreligioso. Phil ha avviato un progetto per contrastare il digital divide in Nigeria e George, in Mali, porta a scuola i bambini di comunità storicamente in conflitto. Sono otto i progetti attivi in questo momento. Gala Ivkovic è bosniaca e ha studiato a Rondine nel 2012: è tornata a Rondine nel 2019 e ora è la program manager per l’innovazione sociale e la presidente di Rondine International Peace Lab, l’associazione che riunisce gli ex studenti. «Spesso il conflitto viene concepito solo come politico, ma in realtà ha molte sfumature. Saper gestire il conflitto in modo generativo porta impatti positivi in tutti gli ambiti della società: nella scuola, nella famiglia, nelle aziende… Ognuno sceglie la sua strada».
Sono loro i nuovi leaders, leaders for peace. «Le nostre leadership attuali hanno fallito per tre motivi», afferma Vaccari. «Primo, per ignoranza: il mondo è cambiato, ci sono 5 miliardi di persone che odiano l’Occidente e noi facciamo finta di niente. Secondo, perché conservano l’idea arcaica che la guerra, per quanto orribile, sia necessaria: non credono che la guerra deve essere eradicata dal mondo, come le malattie. Terzo, perché non hanno capito che l’idea di nemico è un inganno». La nuova leadership, quella che porta l’impronta di Rondine, deve aver prima di tutto «sminato i cuori»: che concretamente vuol dire «rinunciare alla superbia, concepire la politica come servizio».
Sarà per questo che a Rondine, fuori da ogni porta, c’è un gancio con appesa una scopa di saggina: è un invito a pulire non solo i propri spazi privati, ma anche un pezzetto della parte comune del mondo. E sempre per questo, di Rondine ce n’è una sola: «Ciclicamente mi arriva la proposta di aprire una “Rondine 2”», confessa Vaccari. «Sono contrarissimo. Il nostro è un metodo, non un movimento. Il metodo lo mangi, lo assimili e lo porti con te ovunque».
Le chiavi e le porte
Scendendo, diamo uno sguardo al monumento simbolo di Rondine. C’è la pietra dell’Arno, che nel Duecento nelle guerre tra aretini e fiorentini “si tinse di rosso” e quella donata dal monastero di La Verna. Ci sono le rondini. «Rappresentano noi studenti, che voliamo via e torniamo ai nostri paesi trasformati. Perché Rondine non finisce qua», ci avevano detto Kateryna e Sabina. Mi tornano in mente le parole di Vaccari, che spiegando il “metodo Rondine”, ha detto che «noi non siamo mediatori, perché il mediatore sa già dove ti vuole portare. Noi invece non conosciamo la soluzione: la soluzione la trovano le persone». E penso che la sintesi di questa giornata incredibile sia la frase scritta su un quadro appeso in biblioteca, opera di un ex studente: «Le chiavi ti daranno a Rondine, le porte devi trovare da solo».
Il podcast
Questo reportage da Rondine (AR) è stato pubblicato sul numero di VITA di febbraio, dal titolo “Mettersi in mezzo si può”, dove abbiamo raccontato pratiche ed esperienze di “ingerenza umanitaria” (puoi acquistare qui la copia). Gianmarco Landucci racconta Rondine-Cittadella della Pace anche in un podcast, “Rondine, dove si diventa sminatori di cuori”: una testimonianza emozionante, che spiega perché imparare la trasformazione creativa dei conflitti è qualcosa che riguarda anche noi. Lo potete ascoltare qui.
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