Economia
Cari “saggi”, ecco le nostre richieste
L’Alleanza delle Cooperative Italiane invia alla commissione di esperti scelta dal Quirinale una lettera aperta con 7 punti programmatici
di Redazione
«È necessario disegnare modelli di welfare che non brucino risorse, ma sostengano le famiglie vero ammortizzatore sociale del paese. Per questo, proponiamo che l’investimento per l’innovazione e lo sviluppo delle politiche sociali entri a pieno titolo tra gli interventi finalizzati al superamento della crisi presente ed alla ripresa della crescita del Paese». Non solo: «Bisogna stabilire criteri che favoriscano la sussidiarietà del federalismo fiscale, da raggiungere grazie misure quali: rendere stabile il 5×1000 e semplificare le agevolazioni fiscali per le donazioni a enti e organizzazioni senza scopo di lucro». Così Giuseppe Guerini, portavoce dell’Alleanza delle Cooperative Sociali, introduce la lettera-documento che l'Alleanza ha inviato oggi ai 10 "saggi" chiamati dal Presidente Napolitano a stilare quel "programma inderogabile" di misure istituzionali ed economiche per traghettare il Paese fuori dall'impasse in cui sta vivendo.
Un documento concreto e dettagliato, che si sviluppa in sette punti tematici. Eccoli.
1. Mantenere l'Iva per le prestazioni di servizi socio sanitari ed educativi resi dalle
cooperative sociali al 4%.
La legge di stabilità 2013 è intervenuta sulla disciplina IVA delle prestazioni sociali a
soggetti svantaggiati rese da cooperative e loro consorzi di cui al n. 41bis della Tabella A
– Parte II, allegata al d.P.R. 633/1972: disposizione che assoggetta all’aliquota ridotta
del 4% le prestazioni socio-sanitarie ed educative. Nel dettaglio, la legge abroga il n. 41
bis della tabella A, parte II, ed inserisce un nuovo n. 127-duodevicies alla parte III. Con
tali modifiche l’aliquota IVA delle prestazioni rese dalle cooperative sociali a soggetti
svantaggiati passa dal 4 al 10 per cento.
È necessario abrogare i commi 488, 489 e 490 dell’art. 1 della legge di stabilità
2013.
L’impatto dell’aumento dell’IVA alle cooperative sociali avrà una serie di effetti
deprimenti per le famiglie, le stesse cooperative sociali e per le istituzioni locali, senza
alcun vantaggio reale per lo Stato.
Gli enti locali non hanno risorse per far fronte all’aumento dell’IVA di 6 punti
percentuali, quindi, con le medesime risorse del 2013, nel 2014 forniranno meno servizi
sociali agli italiani, si taglieranno i servizi di inclusione sociale alle fasce più deboli della
popolazione. Ma preme sottolineare che a livello di impatto economico non vi sarà alcun
aumento del gettito dall’incremento dell’IVA: l’unico effetto sarà quello di spostare
risorse dagli enti locali alle casse statali.
Inoltre, l’aumento dell’IVA allargherà l’area dell’evasione e dell’irregolarità del lavoro
(la cooperazione sociale in questi anni ha invece fatto emergere migliaia di posti di
lavoro regolare nell’assistenza).
Si introdurrebbe un elemento di freno per l’economia sociale: nel contesto della crisi
economica dell’Italia nessuna impresa può reggere un aumento del 150% dell’IVA.
Durante la crisi le cooperative sociali ed i loro consorzi hanno tenuto l’occupazione
(sacrificando tutte le riserve) ed hanno poco utilizzato la cassa integrazione in deroga;
ora con queste misure si profila uno scenario occupazionale catastrofico. Nelle
cooperative sociali saranno tagliati circa 20.000 posti di lavoro che però potranno
raddoppiare a 42.000 (se si sommano gli effetti dei molteplici interventi sul Welfare,
della riduzione del 10% dei contratti in sanità, delle problematiche ancora tutte presenti
dei ritardati pagamenti della P.A.). Oltre a produrre gravi problemi alle famiglie, tale
incremento IVA avrà l’effetto automatico di ridurre i consumi di queste persone e quindi
di ridurre la loro contribuzione fiscale.
2. Sostenere le famiglie: superare la logica delle erogazioni monetarie per sviluppare
la rete dei servizi.
Da tempo la famiglia italiana svolge una faticosa funzione di supplenza. La crisi grava in
primo luogo sulle spalle delle famiglie italiane, in particolare nel welfare: già da anni si
è assistito a una riduzione sensibile degli assegni familiari, manca qualunque sostegno
alla natalità e alla cura per la non autosufficienza, e a ciò si aggiunga la costante
crescita del carico fiscale che, a livello nazionale e locale, è sempre maggiore. Inoltre,
il sacrificio più grande grava ancora oggi quasi sempre e solo sulle donne.
Il taglio progressivo delle risorse per le politiche sociali, messo in atto negli ultimi anni
si sta traducendo in riduzioni e chiusure di servizi, che da un lato lasciano sole le
persone e le famiglie più fragili ad affrontare le situazioni di difficoltà, e dall’altro
stanno determinando pesanti ricadute occupazionali.
Consapevoli del fatto che tutti siamo chiamati a ricercare la sostenibilità economica del
sistema di protezione sociale, riteniamo inaccettabili scelte di riduzione indiscriminata
della spesa, mentre siamo pronti a sostenere innovazioni negli assetti del sistema di
welfare, nella direzione, in primo luogo, di una effettiva e concreta integrazione socio
sanitaria.
Per questo, proponiamo che l’investimento per l’innovazione e lo sviluppo delle
politiche sociali entri a pieno titolo tra gli interventi finalizzati al superamento della
crisi presente ed alla ripresa della crescita del Paese.
Al di là dei proclami, le famiglie oggi sono, in assenza di politiche specifiche di
sostegno, il vero ammortizzatore sociale del Paese.
Una vera ed efficace politica di sostegno e di promozione della famiglia richiede, quindi,
di introdurre un sistema di detrazioni più incisive di quelle già previste per i costi
sostenuti dalle famiglie nell'acquisto di beni e servizi resi da organizzazioni senza
scopo di lucro connessi con le necessità familiari ad elevata rilevanza sociale e
educativa.
In particolare, è necessario riconoscere che la non autosufficienza sarà l’emergenza
sociale dei prossimi decenni e che una politica adeguata è condizione minima di
responsabilità. Detrazioni fiscali a vantaggio di famiglia per non autosufficienza e
natalità nel settore dell’assistenza favorirebbero, inoltre, l’emersione di lavoratori in
nero.
Se si confronta il sistema italiano con quello degli altri Stati europei emerge che la
principale differenza sta nella nostra fragilità della rete dei servizi.
Di fronte al progressivo (e non reversibile in tempi brevi) invecchiamento della
popolazione e, al contempo, al prolungarsi delle aspettative di vita, rispondere solo con
trasferimenti monetari (pensioni di invalidità e indennità di accompagnamento),
trascurando le risorse dedicate ai servizi, è una scelta politica miope, onerosa e
inefficace. Non aiuta a prevenire l’insorgere di condizioni di disabilità e non salvaguarda
l'inclusione nelle relazioni familiari e sociali. Il rischio da scongiurare è che l’assistenza
si concentri verso le situazioni più gravi riducendo i contenuti più propriamente sociali,
di accompagnamento, promozionali, preventivi, ambientali, di comunità.
Il settore dell’assistenza domiciliare, in particolare, rimane un settore non coordinato
col sistema integrato dei servizi, con la rete di welfare locale e comunitario,
caratterizzato da scarsa qualificazione e alta discontinuità dell’assistenza. Inoltre,
questi lavoratori sono tra i più vulnerabili. Perciò è indispensabile rafforzare la rete dei
servizi territoriali per le famiglie.
Va, quindi, costruita una politica ad hoc di servizi per i cittadini, a cominciare da quelli
per l’infanzia e per la non autosufficienza. Devono essere promossi, incentivati e
organizzati servizi che salvaguardino la regolarità del lavoro attraverso “buoni-servizio”
che i cittadini e le famiglie possono usare per acquistare servizi di welfare all’interno di
un mercato regolato nel quale la funzione pubblica è quella di garantire qualità e prezzo
degli stessi.
3. La sussidiarietà fiscale
Il federalismo fiscale ha sicuramente bisogno di strumenti di vera sussidiarietà. In
particolare è indispensabile adottare tre misure che vanno in questa direzione. Si tratta
di misure che aiutano a mobilitare e raccogliere risorse private per metterle a fini di
pubblica utilità contribuendo a cofinanziare progetti di welfare nati spontaneamente dal
basso.
1. Rendere stabile il 5 per mille, con una formulazione dell’articolato che valorizzi il
terzo settore, renda le procedure certe nelle modalità e nei tempi di erogazione, sia
prevista un’adeguata rendicontazione sociale dell’utilizzo.
2. Razionalizzare, semplificare ed incrementare le agevolazioni fiscali per le erogazioni
liberali dei privati e delle imprese agli enti non commerciali ed alle Onlus, a partire
dalla previsione dell’articolo 14 del decreto 14 marzo 2005, n. 35 (cosiddetta “più dai
meno versi”). Oggi esistono ben 19 disposizioni agevolative. Ne basterebbe una. Su
questo punto è necessario che il Governo faccia rapida retromarcia rispetto alle
previsioni della legge di stabilità ora al vaglio del Parlamento.
3. Detrazione d’imposta per sovventori profit di cooperative sociali, consorzi e contratti
di rete per lo start-up o per innovazioni o per la valorizzazione di beni pubblici.
4. Servizi pubblici locali e beni culturale: agire per una cultura dei beni comuni
Mentre si parla da anni di riforma dei servizi pubblici senza trovare soluzioni, la
produzione di beni comuni può essere garantita in modo più efficiente da istituzioni
collettive non profit e multistakeholder. Organizzazioni private con finalità pubbliche,
realmente partecipate e radicate nel territorio, che hanno come obiettivo l’interesse
generale possono essere uno strumento importante per la gestione dei beni comuni.
Gestire alcuni beni comuni come servizi ambientali, servizi idrici, energia con una logica
di impresa sociale di comunità potrebbe non solo portare benefici gestionali ma essere
un volano di sviluppo e di inclusione sociale.
Si dovrebbe prevedere la possibilità di affidare a soggetti non profit beni culturali non
valorizzati per aprirli al pubblico e ai turisti.
E’ necessario sperimentare attraverso l’articolo 5 della legge 381 del 1991 (convenzioni)
il coinvolgimento delle cooperative sociali nella gestione di servizi pubblici locali per la
valorizzazione delle cooperative sociali in servizi alla comunità locale (ambiente,
affidamento e valorizzazione beni culturali, patrimonio artistico e culturale …).
5. Il welfare integrativo e le risorse dei privati
I tre pilastri del welfare integrativo nella formazione professionale, nelle pensioni e
nella sanità, improntati alla bilateralità, devono essere oggetto anche un impegno più
netto da parte delle istituzioni in termini di incentivazione e promozione per garantire
l’equità generazionale e sociale oltre la sostenibilità finanziaria del sistema.
Anche nell’assistenza è possibile utilizzare al meglio le risorse che già oggi spendono i
privati, facendole convergere in un sistema organizzato che razionalizzi il sistema di
offerta.
6. Un patto intergenerazionale: rilanciare e finanziare il Servizio Civile
Un giovane su tre in Italia non studia e non lavora. La bassa tutela delle giovani
generazioni a tutti i livelli (accesso al mercato del lavoro e tutele, prospettive
pensionistiche etc.) è un punto fondamentale su cui intervenire per riequilibrare il
sistema. Il Servizio Civile può essere un’occasione per offrire nuove opportunità di
partecipazione e cittadinanza attiva. Per i giovani entrati attraverso questa strada nella
cooperazione sociale, il Servizio Civile è ancora un’occasione formativa che consente ad
un numero considerevole di giovani di trovare opportunità vere e concrete. Non a caso
nella nostra rete un numero considerevole di persone è stata inserita in cooperative al
termine del periodo di servizio civile. E’ necessario permettere a tutti i giovani che
vogliono ingaggiarsi in progetti di solidarietà di accedere a questa opportunità.
7. Politiche attive e inclusione lavorativa di persone svantaggiate
Non si realizza inclusione e non si realizza welfare se non attraverso una potente azione
di inclusione lavorativa di persone svantaggiate. Per questo serve agire per la
promozione di una diversa cultura del lavoro, una rivalorizzazione del lavoro manuale,
una promozione del significato educativo formativo della fatica e dell’impegno speso per
produrre lavoro. Per questo è importante:
• premiare responsabilità sociale e integrazione lavorativa: diffondere clausole
sociali e affidamenti a imprese che si occupino di inserimento lavorativo di
persone svantaggiate potenziando l’esperienza delle cooperative sociali di tipo B;
• favorire l’adozione diffusa, da parte delle amministrazioni locali, di convenzioni e
di clausole sociali ai sensi dell’articolo 5 della 381 del 1991; adozione, da parte
delle Regioni e degli enti locali, di leggi e deliberazioni quadro che definiscano
quote di commesse da affidare con tali strumenti; sistemi di premialità e di
sostegno, da parte di Regioni e Province, a favore degli enti che operano in tal
senso;
• sostenere la sperimentazione di progetti in cui le risorse per gli ammortizzatori
sociali sono ripensate in senso “attivo”, prevedendo l’inserimento dei beneficiari
entro attività di imprenditorialità sociale.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.