Sostenibilità

Cari politici, vi invito a una gita in Groenlandia

Il Nobel Richard Odingo, climatologo africano

di Elisa Cozzarini

«Così non avrebbero più dubbi sul cambiamento climatico. E capirebbero la necessità di agire subito, mettendo da parte i loro interessi. La Cina? Agli americani fa comodo indicarli come grande inquinatrice, ma la realtà è molto diversa…» Nel suo viaggio da Nairobi a Copenhagen, il decano dei climatologi africani Richard Samson Odingo ha fatto tappa in Italia per ritirare il premio honoris causa “Giuseppe Mazzotti”, grazie al suo impegno per l’ambiente, in particolare per lo studio delle cause antropiche della siccità in Africa. Odingo è stato vicepresidente dell’Ipcc – Intergovernmental Panel on Climate Change fino al 2008 e nel 2007 ha ricevuto il Premio Nobel per la pace e l’ambiente ex aequo con Al Gore. Oggi sta per avviare un progetto di riforestazione in Kenya con il sostegno di Bioforest, onlus di industriali italiani impegnati per uno sviluppo rispettoso dell’ambiente.
Ecomondo: Come andrà la conferenza di Copenhagen?
Richard Samson Odingo: In tutto il mondo è ormai diffusa l’idea che dobbiamo agire per combattere il cambiamento climatico. Questo è di per sé un successo. Ma stiamo parlando di governance globale, dobbiamo fare i conti con interessi profondamente contrastanti. Le Maldive, per esempio, rischiano di essere sommerse dall’acqua, mentre i maggiori inquinatori, in particolare Stati Uniti e Cina, non vogliono arrestare la loro crescita.
Ecomondo: Le voci dei Paesi poveri, che stanno soffrendo più degli altri, verranno ascoltate?
Odingo: In Kenya diciamo che quando c’è una lotta tra due elefanti, chi perde è il prato che sta sotto i loro piedi. E i Paesi poveri sono come il prato. Ma credo ci sia anche qualche speranza, perché i Paesi in via di sviluppo oggi sono molto uniti. È raro che l’Africa riesca ad esprimere una voce unanime e forse per una volta i Paesi ricchi li stanno ascoltando.
Ecomondo: Lei però è anche critico nei confronti della classe politica africana, che spesso ha permesso alle multinazionali di distruggere l’ambiente per sfruttare le risorse?
Odingo: È vero. Sinceramente l’Africa è davvero nei guai. In Congo, Camerun, Costa d’Avorio, ad esempio, le multinazionali stanno depredando le foreste per ricavarne legname. Succede anche in Amazzonia, dove gli alberi sono abbattuti anche per coltivare la soia o per l’espansione degli allevamenti di bovini. Poi, quando c’è da trovare un colpevole, si accusa sempre lo Stato, mai le multinazionali. Ma in Africa finalmente vedo che le comunità locali stanno iniziando a sollevarsi per chiedere i loro diritti.
Ecomondo: Anche i grandi inquinatori stanno soffrendo per il cambiamento climatico. Pensiamo alle conseguenze dello scioglimento dei ghiacci dell’Himalaya per la Cina?
Odingo: Credo che dobbiamo perdonare la Cina. Non c’è un altro Paese al mondo che sia riuscito a fare quello che hanno fatto i cinesi in trent’anni. Hanno rivoluzionato il sistema economico e l’intero Paese, certo causando un inquinamento terribile. È questo il problema: si sono sviluppati troppo velocemente. In termini di inquinamento pro capite, però, la Cina è ancora un piccolo Paese, se paragonato agli Stati Uniti. Anche il confronto tra Usa e Italia sarebbe scioccante. Agli americani fa comodo indicare come maggiore responsabile la Cina.
Ecomondo: Quindi lei pensa che dovrebbero essere i Paesi industrializzati a ridurre le emissioni?
Odingo: Se chiedessimo all’Africa di tagliare, sarebbe come niente, perché è responsabile di meno del 4% delle emissioni di CO2. La differenza per il mondo la possono fare gli Usa. Ed è importante il ruolo di leadership che ha assunto l’Unione europea facendo pressione sui Paesi industrializzati. Ora l’Europa non deve mollare perché, se lo farà, anche gli altri si tireranno indietro.
Ecomondo: Cosa pensa delle posizioni espresse da Obama e Hu Jintao durante il loro incontro in novembre?
Odingo: Sono dalla parte dei cinesi perché credo abbiano il diritto di svilupparsi. Posso dire anche che la Cina negli ultimi tre anni si è data delle leggi per limitare l’inquinamento, mentre prima tutto era permesso. Gli Stati Uniti, invece, fino all’anno scorso, con Bush, erano totalmente sordi. Ora non è giusto condannare Obama, perché sta provando a cambiare le cose. Ma finché la legge Usa sul clima non sarà approvata dal Senato, dove sono rappresentati Stati produttori di petrolio come il Texas, è normale che Obama non possa assumersi impegni vincolanti. Voglio dire un’altra cosa: nell’Ipcc abbiamo sempre lavorato bene con gli scienziati americani. Ma la scienza può solo dare delle indicazioni ai governi, che ne tengono conto o no. Penso che se i politici andassero in Groenlandia vedrebbero concretamente gli effetti del cambiamento climatico e non potrebbero più avere dubbi sulla necessità di agire subito.

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