Welfare

Cari insegnanti di sostegno, non fate i padri dei vostri studenti

Francesco Abbate è un insegnante di sostegno della Scuola Media Paolo Sarpi di Settimo Milanese. Ma è anche il padre di Mattia, figlio primogenito con distrofia muscolare di Duchenne: «Non nascondo che durante i primi anni di insegnamento ho dovuto prendere un po’ le misure perché il rischio era quello di confondermi, di perdermi, dal momento che ero insegnante di sostegno ma anche genitore di un figlio con una disabilità piuttosto importante. Poi ho trovato la quadra»

di Ilaria Fiore

Francesco Abbate è un insegnante di sostegno della Scuola Media Paolo Sarpi di Settimo Milanese prossimo alla conclusione del suo percorso lavorativo interamente dedicato agli alunni con disabilità. Uomo cordiale, pacato e saggio ci racconta la sua vita da sempre fondata sul “creare pari opportunità per tutti”. Dal vincere in modo inaspettato un posto di lavoro come insegnante, al ricevere la diagnosi di distrofia muscolare di Duchenne del figlio primogenito, Francesco si racconta donandoci il suo sguardo savio, positivo e fiducioso con il quale guarda alla vita. La sua preziosa testimonianza ci insegna che la disabilità non è un vincolo ma una possibilità.


Francesco alla scuola si è avvicinato quasi per caso, per acconsentire a un desiderio dei genitori. Ha appreso di aver vinto un posto in qualità di insegnante di Educazione Motoria mentre era in viaggio di nozze. Il suo voler tendere la mano verso l’altro, indole da sempre manifestata, lo ha portato spontaneamente a cercare di capire le esigenze di ogni singolo alunno perché la sua preoccupazione prioritaria è sempre stata quella di considerare le persone che aveva davanti, “in tutta la complessità che ognuno si porta dentro”.

Dopo non molto dall’entrata nel mondo della scuola, su suggerimento di una collega, ha deciso di specializzarsi sul sostegno, posto nel quale, poi, ha scelto di rimanere dopo aver scoperto che Mattia, suo figlio primogenito, avesse la distrofia muscolare di Duchenne.

«Prima di ricevere la diagnosi non pensavo alla disabilità ma, da sempre, ho proiettato la mia vita in modo da creare pari opportunità per tutti. Non nascondo che durante i primi anni di insegnamento ho dovuto prendere un po’ le misure perché il rischio era quello di confondermi, di perdermi, dal momento che ero insegnante di sostegno ma anche genitore di un figlio con una disabilità piuttosto importante. Infatti, diverse problematiche delle famiglie che seguivo erano come quelle che vivevo io in prima persona. A un certo punto mi sono reso conto che non stavo facendo più l’insegnante di sostegno, ma il padre aggiunto e questo non andava bene. Così, ho fatto un passo indietro ed è stata la chiave di volta per trovare un equilibrio».

In ogni parola, ricordo, racconto di Francesco c’è la forte consapevolezza della persona che era, che è e che vorrà essere. A ogni quesito ha risposto d’istinto eppure sembrava tutto ragionato da tempo per la profondità e lo spessore dei contenuti. Ne sono un esempio le parole pronunciate per raccontare il momento della comunicazione della diagnosi. «Quel giorno ci hanno detto che Mattia aveva la distrofia muscolare, che si trattava di una patologia incurabile e che, quindi, non avremmo dovuto fare niente se non farlo vivere serenamente preparandoci a salutarlo intorno ai 12/13 anni. In quel momento è scattata la molla e io e Daniela, mia moglie, ci siamo detti: "Che facciamo? Ci buttiamo giù da un viadotto tutti insieme? Poi ci siamo guardati e abbiamo detto no, andiamo avanti e l’affrontiamo". Se tu sei aperto alla vita e non fai della disabilità la prigione in cui chiudi te stesso e la tua famiglia, la disabilità diventa uno degli aspetti quotidiani della vita». Queste parole pregne di lucidità, di forza e coraggio permettono di entrare presto in quella rete familiare creata da due coniugi uniti da un forte e vero amore: «Ci siamo guardati in faccia io e mia moglie e ci siamo detti ce la facciamo, punto. Mi sentirei di dire a chiunque che, nonostante le difficoltà, lo si può fare».


A partire da quel momento hanno proseguito la loro vita con la consapevolezza che la disabilità di Mattia non fosse un vincolo bensì una possibilità e, anche quando arrivano i momenti in cui si sentono impotenti per la malattia, sanno che una soluzione la si troverà sempre.

Ciò che muove il forte ottimismo di Francesco è sicuramente il grande amore che prova per i suoi familiari. Amore verso sua moglie Daniela, accanto alla quale cammina da una vita. Per lui indossare i mocassini dell’altra persona «non significa volerla cambiare ma accettarla per quella che è e camminare insieme». Amore verso Mattia a cui dimostra ogni giorno il suo affetto regalandogli la possibilità di scegliere. «C’è la poesia di Gibran dedicata ai figli che dice che i genitori sono l’arco, i figli le frecce. Tu tiri l’arco ma poi scocchi la freccia che va da sé; è il prezzo che paghi nel rischio educativo. Una volta che hai fatto la tua parte sta alla persona autodeterminarsi. Attraverso i sogni Mattia è arrivato a un’autodeterminazione che è sua. È ovvio che un genitore abbia delle aspirazioni per i propri figli ma è anche vero che non sempre il meglio che ha in mente lui è lo stesso che desidera il figlio. Sognare è dare la disponibilità a essere sempre presente rispetto al sogno però con la consapevolezza che in esso c’è la persona che fa il proprio percorso e il suo cammino. Tutto questo, forse, è qualcosa in più del sogno perché è un appoggiare ciò che dal sogno diventa realtà e, quindi, è un mettersi a disposizione piuttosto che vagheggiare cose strane, particolari o battaglie personali». Francesco ha donato a suo figlio Mattia la libertà, la libertà di essere ciò che vuole. E non c’è regalo più bello che un padre possa fare a suo figlio.

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