Non profit

Cari enti non profit, dovete diventare aziende

Vita Bookazine di dicembre pubblica in esclusiva i dati fiscali sulle donazioni alle onlus e relative agevolazioni, che segnalano una preoccupante stagnazione. Secondo l'esperto tributarista Alessandro Mazzullo, per cambiar le cose alle organizzazioni senza fine di lucro dovrebbe essere consentito di trasformarsi in vere e proprie aziende che svolgono attività imprenditoriale, reinvestendo gli utili per il bene comune

di Gabriella Meroni

Come far crescere il terzo settore? Affidarsi al buon cuore, pur sospinto da vantaggi fiscali, non basta. È questa l’opinione di Alessandro Mazzullo, avvocato ed esperto di Diritto del Terzo Settore, a commento dei dati sulle donazioni portate in detrazione e deduzione dagli italiani nell’anno fiscale 2013: un’esclusiva che Vita Bookazine pubblica nel numero dicembre, tutto dedicato al secondo report su “quanto donano gli italiani”.

Mazzullo, dando uno sguardo ai numeri si scopre che solo poco più di 1,4 milioni di italiani approfittano dei vantaggi fiscali sulle erogazioni al non profit. Non c’è da stare allegri: il trend è al ribasso, soprattutto per quanto riguarda le detrazioni. Perché gli incentivi non convincono?

A mio parere non è colpa degli incentivi che, pur bassi, comunque ci sono. È un problema di visione: il rubinetto del dono si sta chiudendo, sia da parte pubblica che privata, quindi è inutile aspettarsi che cresca magicamente, soprattutto perché la crisi non è finita. Occorre cambiare mentalità. Serve un modo nuovo di finanziare il non profit.

A quale sta pensando?

A un sistema che sicuramente non è l’unico ma funziona: permettere alle organizzazioni del terzo settore di svolgere attività imprenditoriale strumentale alle proprie finalità senza perdere la qualifica di enti non commerciali. Sarebbe una svolta epocale che vale molto più della migliore agevolazione fiscal. La sparo grossa?

Prego…

Mi spingo a dire che si potrebbe, a quell punto, tassare queste imprese in modo ordinario: tanto sarebbero in grado di sostenersi da sole.

e grandi organizzazioni si devono attrezzare per essere business oriented, inventare nuovi processi aziendali e ripensare la governance

Ne è sicuro?

Be’, la tassazione di favore secondo me andrebbe mantenuta in consideraizone del valore sociale e soprattutto della non massimizzazione el profitto. Però sono pronto a scommettere che i consumatori, per esempio, non avrebbero esitazioni ad acquistare da un’impresa che contribuisse a far crescere il bene comune e non il portafoglio degli azionisti.

Come mai secondo lei il legislatore non è ancora arrivato a questo punto?

Per un pregiudizio culturale, la falsa convinzione secondo la quale il non profit non deve generare profitto. Quando riusciremo a far capire che profitto e utile personale sono due cose diverse, e che è possibile che un’impresa decida di reinvestire I guadagni e ridistribuirli a soggetti in situazione di bisogno o alla collettività, si arriverà a compiere scelte politiche coraggiose.

La riforma del Terzo settore, che riforma le imprese sociali, non è abbastanza?

Non dico questo. La riforma ha sicuramente avviato un processo importante, recependo alcuni cambiamenti sostanziali che però devono essere implementati innanzitutto dal terzo settore stesso. Le grandi organizzazioni si devono attrezzare per essere business oriented, inventare nuovi processi aziendali e ripensare la governance. È un cammino complesso, ma vale la pena percorrerlo. Perché gli enti non profit passino dalla passività al protagonismo, e dagli appelli alla generosità alla competizione virtuosa.

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