Formazione

Cari educatori, il rischio èil vostro mestiere

giovani La filosofia di Exodus diventa un libro

di Redazione

La comprensione? No. La capacità di ispirare fiducia? Nemmeno. La leadership? Neanche. Un giocatore di poker? Ecco, incominciamo ad avvicinarci. Perché la differenza fra un buon educatore ed un educatore modesto la fa il coraggio. Un po’ come capita al tavolo verde. Ma in questo caso si tratta del coraggio di scommettere sulle persone. A Franco Taverna, padre di sette figli di cui tre in affido, dal 1979 suo fedele braccio destro, Antonio Mazzi ha affidato il compito di mettere nero su bianco la filosofia di Exodus. Ne è uscito un libro agile che incomincia parlando di droghe, ma ben presto approda (con coraggio, di questi tempi) al nodo cruciale: la questione educativa. Un nodo che Taverna affronta subito senza peli sulla lingua: «Siete mai entrati in un Cag?».

Vita: Prego?
Taverna: Cag – Centro di aggregazione giovanile. Sono in pochi a conoscerli, ma i Cag sono – sarebbero – la risposta dei Comuni per riempire quello spazio e quel tempo che nelle giornate dei ragazzi si aprono fra l’uscita da scuola e il reingresso in famiglia. Spesso però sono scantinati, freddi e desolanti dove se va bene ci sono un biliardino e un ping pong.
Vita: Non un gran divertimento, effettivamente?
Taverna: Non è questo il punto.
Vita: Qual è allora?
Taverna: Lì dentro non ci sono educatori, ma guardiani. La cui massima aspirazione è che non succeda niente. Ovviamente sto parlando in generale, non è sempre così. Ma alla radice c’è comunque la mancanza di un pensiero.
Vita: Quindi?
Taverna: A Cernusco, alle porte di Milano, proprio con un Cag abbiamo tentato un esperimento. Abbiamo raccolto gli sbandatelli della zona e li abbiamo portati in montagna per un week end. Erano i bulli del quartiere, ma appena usciti di casa senza la mamma che gli rimboccava le coperte, si sentivano persi. Dovevate vederli.
Vita: Questo cosa significa?
Taverna: Siamo stati travolti dal ciclone sicurezza. Ma qui si fa confusione fra sicurezza ed eliminazione di ogni rischio. Il traguardo è offrire al cittadino, e anche a tuo figlio, un contesto di vita che sia esente da qualunque tipo di rischio. Un paradosso. Che in educazione si trasforma in bestialità. L’educazione è rischio. L’adolescenza è rischio. Se togli il rischio, togli l’anima all’adolescenza.
Vita: Crede davvero che il tentativo di vivere meglio sia così nocivo?
Taverna: Abbiamo calato le braghe. Un educatore, genitore o insegnante, non può accontentarsi del fatto che il proprio ragazzo stia meglio. La corsa verso il benessere è per sua natura continua e insoddisfacente.
Vita: Si potrebbe obiettare che questi sono ragionamenti senza tempo, buoni per tutte le stagioni…
Taverna: Chi la pensa così non considera due fenomeni recenti che hanno alterato gli equilibri. Oggi l’adolescenza si estende molto più che un tempo. Supera i 30 anni. I nostri genitori avevano un orizzonte più limitato. Noi invece siamo chiamati ad educare per un tempo molto più prolungato. Ma non tutti sono disposti ad un’attesa così lunga. La droga è il prototipo di questo meccanismo di consumo. Tu hai un desiderio e devi immediatamente realizzarlo. L’educatore però dovrebbe nuotare controcorrente. E invece spesso non lo fa. L’altro tema è quello delle nuove tecnologie. Internet è diventato un luogo di vita. Noi che cosa abbiamo da dire in questo ambiente?
Vita: Nemmeno un accenno a scuola e famiglia, come mai?
Taverna: Perché vengono usati come due rifugi di comodo per non affrontare nella sua globalità la questione educativa. Che è una questione politica. Una buona politica invece si dovrebbe interrogare su come riempire il tempo libero dei suoi giovani. Basta pensare che l’educazione sia un processo individuale o, al limite, familiare!


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