Famiglia

Cari amici italiani, così va la nostra vita

Un anno dopo. I bambini iracheni scrivono. Continuano ad arrivare da Bagdad le commoventi lettere degli scolari ai coetanei italiani.

di Maurizio Pagliassotti

I bambini di Bagdad non sono bambini come gli altri. Entrare in una scuola elementare della capitale provoca una specie di scuotimento nell?anima. Quando mai in Italia si sono viste aule tappezzate di fumetti che, anziché portare un messaggio allegro, avvertono del pericolo di mine e residuati bellici abbandonati lungo le strade?
Nella parrocchia di padre Nadeem, un eroico prete che porta avanti la sua opera nei dintorni del mercato di Mansour, c?è una festa per bambini con distribuzione di doni. Quale regalo può far esplodere di gioia un bambino iracheno? Semplice: un sacchetto con un?arancia, un pezzo di cioccolato e una penna. Come nei racconti dei nostri bisnonni.
I bambini di Bagdad quando parli dell?Italia ascoltano e domandano incuriositi. Inizialmente vogliono sapere del calcio, delle squadre, dei giocatori?, ma poi le domande diventano imbarazzanti, non per loro ma per chi deve rispondere. “È vero che da voi non c?è il pericolo di essere rapiti quando si va a scuola?”; “È vero che avete il riscaldamento?”; “È vero che in Italia nessun bambino è mai morto in un bombardamento?”. E allora cosa puoi rispondere, e come fai a non sentirti un po? colpevole per il semplice fatto che prima o poi torni a casa mentre loro in quella classe, in quella scuola marcia e in quella via disseminata di mine dovranno passare l?infanzia? I bambini dell?Iraq dovrebbero parlare di gioia e futuro, e infatti molti lo fanno, ma i loro sogni talvolta mettono i brividi: “Vorrei che a casa mia tornasse l?acqua”, oppure “Sono sicuro che mio padre tornerà. Tutti dicono che è morto in battaglia ma io lo aspetto”.
Alcuni ragazzini italiani hanno raccolto l?invito a corrispondere lanciato dai coetanei iracheni. In Italia sono arrivate un centinaio di lettere, e altrettanti ragazzi italiani hanno risposto. Nelle lettere di qui si legge uno stridore difficile da digerire, perché alla mancanza di sogni dei bimbi di laggiù si contrappone un entusiasmo per la vita di quassù che quasi mette in difficoltà. Quando ho spiegato il progetto dello scambio epistolare al maestro iracheno, Jasim, mi ero augurato che nelle lettere ci potesse essere un barlume di speranza e di fiducia. Ma la musica di fondo è triste come le canzoni che risuonano a Bagdad. E come potrebbe essere altrimenti?
“Insciallah”, se Dio vuole. Anche per i Nail, i Media, i Mohammed e gli altri arriverà il giorno delle partite a calcio, dei compiti e della spensieratezza. Purtroppo il loro futuro è deciso da uomini che forse non li hanno mai visti e non hanno visto nemmeno quegli ordigni abbandonati, quelle aule fredde e quegli ospedali sudici. Forse costoro dovrebbero ricevere una lettera da un bimbo di Bagdad.

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