Non profit

Cari americani, guardate di più in casa vostra

Intervista a don Fortunato Di Noto, fondatore di Telefono Arcobaleno

di Redazione

«Il 23% dei server che smista pedopornografia mondiale è negli Stati Uniti. E invece se la prendono con il Papa…».
La denuncia di chi da 15 anni è in prima linea Il New York Times l’ha contattato qualche giorno fa. Voleva il suo parere sull’ipotesi di dimissioni del Papa, colpevole secondo il quotidiano statunitense di aver coperto in passato alcuni casi di pedofilia imputabili al clero. Don Fortunato Di Noto, 47 anni – molti dei quali spesi nella lotta alla pedopornografia online -, non si è scomposto. Né si è avventurato in una difesa corporativa della categoria. Ha rimandato al mittente le accuse.
Negli uffici della sede nazionale di Meter, l’associazione fondata dal sacerdote, filtra un sole primaverile ben diverso da quello che in estate incendia le case di Avola. Da questo paese di 30mila abitanti in provincia di Siracusa, costruito con la pietra calcarea dei monti Iblei, da circa un ventennio don Fortunato porta avanti la sua battaglia contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Una battaglia cominciata nel 95 nelle periferie intorno alla Madonna del Carmine, di cui tuttora è parroco, e allargatasi poi a tutto il mondo. All’inizio condotta in maniera solitaria, tra le incomprensioni e l’aperta ostilità di tanti che avrebbero preferito che il prete si occupasse di anime e non di corpi. «Ma io sono testardo e tenace», dice scuotendo con un sorriso la mole da ex cestista. «Sono un siciliano duro».
Se ne sono accorti anche i suoi nemici, qualcuno dei quali avrebbe voluto dare seguito alle minacce. Tanto che oggi è costretto ad andare in giro con la scorta comunicando i propri spostamenti al comitato di sicurezza.
Su una delle pareti decine di foto sorridenti di bambine e bambini, vittime della ferocia, si alternano con quelle degli “scomparsi italiani”. «Questo pannello è un memoriale. Ci aiuta a capire che dobbiamo ancora lavorare tanto». Al piano di sopra, c’è una stanza in cui avviene il monitoraggio della rete in convenzione con la polizia postale e delle comunicazioni. «Mentre parliamo i pedofili di tutto il mondo si stanno scambiando montagne di materiale. L’altro giorno in meno di 80 minuti abbiamo segnalato 500 siti».

Vita: Don Fortunato, che cosa ha risposto al New York Times?
Fortunato Di Noto: Gli ho risposto che, invece di fare i moralisti, avrebbero dovuto fare di più a casa loro.
Vita: Ad esempio?
Di Noto: L’America, ad esempio, avrebbe dovuto ratificare la Convenzione sui diritti dell’infanzia.
Vita: Tutto qui?
Di Noto: No. Gli americani potrebbero dirci dove vanno a finire le nostre segnalazioni. Potrebbero dirci anche come mai il 23% dei server che smistano il flusso della pedopornografia mondiale si trovi negli Stati Uniti.
Vita: Ma questo toglie fondamento alle accuse mosse al Papa?
Di Noto: Ci sono stati sicuramente dei casi gestiti male da alcuni vescovi, ma non possiamo prendere storie di 50 anni fa, per quanto gravi, adducendole a motivo per le dimissioni del Santo Padre.
Vita: Perché no?
Di Noto: È come se dovessimo rispolverare negli archivi le responsabilità di singoli padri e madri, di avvocati, di magistrati, di politici. E, prendendo spunto da queste, chiedessimo oggi le dimissioni di tutti i componenti del Consiglio superiore della magistratura o del presidente della Repubblica.
Vita: Però questo non rende meno gravi le colpe di cui si sono macchiati alcuni esponenti della Chiesa.
Di Noto: Intendiamoci, quello che è successo è gravissimo, ma i preti nel mondo sono 450mila. E la Chiesa non è una multinazionale che produce pedofili. Altrimenti che cosa dovremmo dire della famiglia, nel cui ambito avviene il 70-80% delle violenze?
Vita: E quindi?
Di Noto: Dobbiamo stare molto attenti a trovare un equilibrio. Tutto ci divide, speriamo che almeno i bambini ci possano unire. Alzare polveroni è una maniera indiretta per coprire quello che è sotto i nostri occhi ogni giorno. Mi vien da dire: guardate che cosa fanno i pedofili ai nostri bambini in tutto il mondo. Non dovrebbe indignare di più questo? Perché non c’è una reazione così virulenta di fronte a un fenomeno globale come quello della pedopornografia online?
Vita: Perché, secondo lei?
Di Noto: L’accusa alla comunità cristiana è un pretesto ideologico a cui oggi la Chiesa risponde quasi per emergenza. Ma io, da sacerdote, ho iniziato per vocazione mosso dalle parole dell’Esodo: «Dio vide la sofferenza del suo popolo e se ne prese cura». Questo però non fa notizia, come il bosco che cresce senza far rumore.
Vita: Ci sono altri silenzi dei media che riguardano il tema?
Di Noto: Nessuno dice che non esiste un fondo per le vittime di abusi. Esiste per le vittime di mafia e per quelle della strada. Ma un bambino o una bambina abusata non possono contare su alcun fondo. Sono 40mila volte vittime: discriminate, non accolte, non amate, per giunta con un marchio che si portano addosso tutta la vita.
Vita: Di fronte a un fenomeno così vasto, la vostra azione non ha un che di velleitario?
Di Noto: Nel database dell’Interpol ci sono 500mila immagini provenienti dal flusso della pedopornografia online. A 600 di queste si è riusciti a dare un nome. Poter individuare anche solo un bambino significa rompere la logica del corruttore. È una goccia, ma che sta scavando la pietra.

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