Economia

Caregiver familiari, le aziende arrivano prima della legge

La celebre azienda di lingerie di lusso La Perla, il consorzio di viticoltori che produce il Tavernello, SEA Aeroporti di Milano: sono solo alcune delle aziende che hanno studiato risposte ad hoc per i bisogni dei dipendenti che hanno la responsabilità di cura di un familiare disabile o non autosufficiente. In Inghilterra esiste addirittura un'associazione di imprenditori. Se il 40% delle persone che lavorano ha anche un compito di cura, la conciliazione è un problema anche delle aziende

di Sara De Carli

Sui caregiver le aziende stanno arrivando prima della legge. D’altronde i numeri parlano da soli: quasi il 40% delle persone che lavorano ha anche un carico di cura. E se un tempo – dati demografici alla mano – la conciliazione tra famiglia e lavoro riguardava innanzitutto la maternità e la cura dei figli, oggi il primo tema della conciliazione riguarda la cura di genitori anziani non autosufficienti.

«Si stima per difetto che circa 11 milioni di persone in Europa siano sia lavoratrici/lavoratori che caregiver, ovvero familiari con responsabilità di cura di un proprio caro bisognoso di assistenza a lungo termine», afferma Loredana Ligabue, direttrice della cooperativa sociale Anziani e non solo. «In Italia si stima che si tratti del 46,8% delle persone che lavorano nel settore pubblico, del 31,8% di quanti lavorano nel settore privato, del 16,9% di chi ha un lavoro autonomo. La nostra è una società che vede strutturalmente ed esponenzialmente crescere il bisogno di cura, per ragioni demografiche: sostenere la conciliazione tra responsabilità di lavoro e responsabilità di cura, è diventato un tema cruciale non solo per i lavoratori, ma anche per le imprese. La questione cruciale, da un punto di vista sociale, è mantenere le persone dentro il mondo del lavoro ed evitare che chi oggi un lavoro ce l’ha sia costretto a lasciarlo per svolgere solo attività di cura. Dobbiamo in particolare evitare che le donne tornino a casa per dare assistenza a un famigliare».

Per riuscirci servono strumenti di conciliazione: un orario di lavoro flessibile e un’organizzazione flessibile del lavoro, il telelavoro, congedi per fare fronte a emergenze di cura, un aiuto per facilitare le incombenze assistenziali, cominciando dalla ricerca di una persona di supporto, ma anche il mantenimento di contatti durante periodi di aspettativa o congedo, la possibilità di svolgere una formazione durante l’aspettativa o il congedo e azioni per aumentare la consapevolezza sulle conciliazione fra lavoro e cura nel management e tra i colleghi. In alcuni paesi europei, tra cui la Germania, la Francia e l’Inghilterra, attraverso accordi tra le parti sociali questi strumenti sono stati messi in campo. In Inghilterra è nata addirittura una associazione di imprese, il cui scopo è sensibilizzare i colleghi imprenditori a dare sostegno ai dipendenti che hanno responsabilità di cura. L’Associazione si chiama Employers for Carers e sabato 13 maggio porterà la sua testimonianza a Carpi, all’interno del convegno “Essere lavoratori e caregiver: nuove opportunità di sostegno dall’integrazione del welfare territoriale con quello aziendale”. «Inizialmente ci sono state le buone pratiche delle singole aziende, con il tempo è nata l’associazione, grazie al lavoro svolto dalla Associazione Nazionale Carers UK che rappresenta i familiari», ricorda Ligabue.

Anche Italia gli interventi di welfare aziendale iniziano ad accorgersi dei caregivers e non solo nei casi di grandi imprese. SEA Aeroporti Milano ad esempio da marzo 2017 ha messo deciso di mettere a disposizione il progetto Jointly Fragibilità per i dipendenti che, smessi i panni del lavoratore, si trovano a vestire quelli del caregiver: possono essere ascoltati e orientati verso la soluzione più opportuna e sostenibile al loro bisogno di assistenza, essere informati sulle risorse assistenziali (pubbliche e private) disponibili, accedere a una rete nazionale di operatori per prestazioni di qualità a tariffe agevolate, con la possibilità di gestire tutto al telefono o via web. Tutto è partito da una survey interna, da cui – spiega Barbara Spangaro, Responsabile HR Sviluppo e Welfare di SEA «è emerso che le iniziative rivolte a familiari non autosufficienti o bisognosi di cura rappresentavano una priorità d’intervento. Proprio per rispondere a questa esigenza SEA ha deciso di mettere a disposizione il progetto Jointly Fragibilità». Per Anna Zattoni, Presidente di Jointly, «il servizio permetterà a SEA di andare incontro alle richieste pervenute dai suoi dipendenti, migliorando anche il proprio work-life balance e, di conseguenza, la qualità di vita. I nostri servizi non sono un “catalogo di convenzioni”, ma soluzioni progettate per rispondere alle richieste dei nostri clienti, con la massima attenzione alla qualità, al servizio e al dipendente. I partner con cui lavoriamo sono selezionati sulla base di rigorose procedure di accreditamento e volontà di fare rete per sviluppare innovative proposte per le aziende».

Al convegno di Carpi porteranno invece la loro testimonianza Giuseppe Toninelli, direttore del personale di La Perla, la nota azienda di lingerie e Andrea Cavassi, responsabile del personale del Gruppo Caviro, il consorzio dei vini di Romagna (il Tavernello, per intenderci, è loro). Nell’esperienza di La Perla l’accordo tra le parti sociali che riguarda la detassazione dei premi di risultato convertiti in welfare aziendale concerne non solo la sanità integrativa ma anche i servizi alle famiglie, ed è un’esperienza estremamente interessante se si considera l’alta presenza di lavoratrici donne nell’azienda. Nel caso di Caviro invece viene offerta ai lavoratori la possibilità di avvalersi di una gamma di servizi territoriali, anche sulla cura: «è importante infatti cercare di costruire dei percorsi che non vadano a duplicare servizi già presenti sul territorio, ma lavorare insieme, a livello territoriale, per creare proposte che consentano l’innovazione e la flessibilità», spiega Ligabue.

Foto Veri Ivanova/Unsplash

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