Welfare
Caregiver familiari: 3 milioni di italiani si prendono cura (gratis) di un malato
Si celebra oggi con un convegno a Bologna la Giornata dell'assistente familiare. Una figura (soprattutto donna) poco riconosciuta che all'estero è ormai titolare di diritti acquisiti, mentre da noi arranca tra leggi che non ci sono e un'assistenza pubblica in affanno. Ma la presidente della Federazione Alzheimer avverte: le leggi non sono tutto, per migliorare la condizione dei carer bisogna aiutare innanzitutto i malati
C’è anche un seminario dedicato ai caregiver Lgbt e alle problematiche legate all’invecchiamento delle persone omosessuali nell’ambito del Caregiver day 2016, la manifestazione giunta al quinto anno che si apre oggi 26 maggio a Bologna. Un evento che intende, nelle parole dei promotori, promuovere anche in Italia la capacità dei caregiver familiari di associarsi e di fare pressione per il riconoscimento dei propri diritti, quali per esempio maggiori servizi e formazione (consulenza professionale, momenti di sollievo programmati ecc.).
In Emilia Romagna, regione in cui si svolge la manifestazione e dove i caregiver familiari sono circa 290mila, secondo calcoli della stessa Regione, è stata approvata ormai da oltre un anno la prima legge regionale che riconosce il questa figura: un familiare, convivente o amico/a che aiuta un anziano o persona non autosufficiente, comunque non in grado di prendersi cura di sé. In Italia, sempre secondo un'indagine della Regione, i caregiver familiari sono oltre 3,3 milioni; le donne sono il 55% e spesso subiscono un isolamento e impoverimento sociale, familiare, economico, fuori dal mercato del lavoro: assistere una persona non autosufficiente può essere infatti totalizzante. Secondo un’indagine Aima, inoltre, più del 66% dei caregiver familiari ha dovuto abbandonare il lavoro, il 10% ha richiesto un lavoro part-time e il 10% si è orientato verso una mansione meno impegnativa. E studi recenti rivelano che nel nostro Paese il caregiver familiare dedica in media 7 ore al giorno all’assistenza diretta (preparare il cibo, alimentare, lavare, cambiare l’assistito) a cui vanno ad aggiungersi 11 ore di sorveglianza (quando il malato è a letto, dorme, ma va controllato).
«Di leggi ce ne sono già fin troppe e non vengono applicate», è l’opinione controcorrente della presidente della Federazione Alzheimer Italia, Gabriella Salvini Porro. «Sul tema dei caregiver farei due ordini di osservazioni. La prima: spesso si pensa al caregiver come a un familiare del malato, una persona che si sacrifica per lui o per lei senza stipendio né riposo. Ovviamente esistono queste figure, ma molti caregiver – o carer, al’inglese – sono operatori o assistenti familiari retribuiti. E spesso sono migliori dei familiari. Detto questo», continua, «il vero modo di aiutare i carer è innanzitutto aiutare i malati. Se il malato sta meglio, se è sereno, se può passare qualche ora in un centro diurno o ricevere servizi alternativi di assistenza familiare a carico del servizio sanitario nazionale, anche la persona che vive con lui migliora la propria qualità della vita. Detto con uno slogan: se si aiuta il malato, si aiuta anche il caregiver. Non è detto che sia vero il contrario».
Secondo calcoli della Federazione Alzheimer, il sistema tradizionale di “cure informali” da parte della famiglia, degli amici e della comunità in genere, necessiterà in futuro di sempre maggiore supporto. In tutto il mondo, il 13% degli over 60 richiede assistenza a lungo termine, e si stima che entro il 2050 il numero totale di anziani con esigenze di tipo assistenziale sia destinato a triplicare, passando da 101 a 227 milioni di persone. L’assistenza a lungo termine è rivolta in prevalenza a persone affette da demenza, e l’80% degli anziani nelle case di riposo convive con la demenza. Attualmente, il costo globale dell’assistenza per la demenza supera i 600 miliardi di dollari, ovvero circa l’1% del Pil mondiale.
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